giovedì 3 ottobre 2019


APPARIZIONE DI CRISTO AL LAGO DI TIBERIADE

E PESCA MIRACOLOSA

PIETRO SUPREMO PASTORE DEL GREGGE


   “Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio” (Atti 1,3).  
   Matteo ci riferisce che gli undici andarono in Galilea e specifica: sul monte che Gesù aveva loro fissato: “Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi…E Gesù, avvicinandosi, disse loro: - Mi è stato dato ogni potere in cielo ed in terra. Andate dunque ed ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, …..  Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo -“ (Mt 28, 16 –20) .
   L’ultimo racconto del Vangelo di Matteo,  non si deve intendere come conclusione, ma una nuova apertura, un nuovo inizio. Da quella montagna lo sguardo vuole abbracciare i confini della terra, il destino dell’umanità.  Il Cristo è stabilito nella sua sovranità, la sua gloria risplende. I suoi porteranno il suo messaggio e il suo mistero, porteranno un battesimo per tutta l’umanità e una comunione con Dio per tutti gli uomini. E’ il tempo della missione universale: Dio con noi, questo è il nome di Gesù, “ EMANUELE “ (Mt 1, 23 cf. Is 7, 14 e 8, 8 - 10).
   L’ultimo racconto del Vangelo Secondo Giovanni ci mostra l’apparizione del Risorto sul lago di Tiberiede, raccontata solo nel suo vangelo. E’ certo che sono in Galilea ed è certo che il Risorto vuole dare agli apostoli forza e potere per proseguire la missione che il Padre aveva a lui conferito. Pertanto dà nuovo inizio.
   L’episodio della pesca miracolosa, secondo la tradizione archeologia, va situata sulla sponda del lago di Tiberiade ad ovest di Cafarnao, nella località Sette Fonti; dal suo nome in greco: Heptapegon deriva il nome della moderna Tabgha. A Tabgha si trova una lastra di pietra, chiamata: Mensa Domini; secondo la tradizione, Gesù su di essa aveva preparato da mangiare ai suoi discepoli. Gli apostoli, tornati in Galilea, in attesa degli eventi e di rivedere ancora il Maestro Risorto, riprendono il loro antico mestiere di pescatori:
La pesca notturna fu infruttuosa e mentre sul far del mattino si avviavano alla riva dalla quale distavano circa 100 metri, i discepoli scorgono una persona, ma non riconoscono che era Gesù. Gesù chiedendo loro qualche pesce da mangiare, certo voleva chiedere loro se era andata bene la pesca, essi dichiararono l’infruttuosità della pesca notturna.  Allora Gesù dice agli apostoli di gettare di nuovo la rete dalla parte destra della barca, perché avrebbero pescato. Sulla sua parola la gettarono e per la quantità di pesci non riuscivano più a tirare la rete sulla barca. L’accento posto sulla straordinaria abbondanza della pesca, richiama l’abbondanza riscontrata in altri miracoli di Cristo: Cana, acqua in vino, moltiplicazione dei pani ecc.  Allora il discepolo, quello che Gesù amava, per primo riconosce  il Signore”. Gesù, in Giovanni, è indicato con il termine: “Il Signore” perché designa la sua divinità.
   Negli ultimi due capitoli del quarto vangelo, l’evangelista ci fa rilevare che la gerarchia non è fondata solo nella santità o nella intensità dell’amore, ma sulla scelta di Cristo. Su Pietro Gesù poggia la sua Chiesa! Giovanni davanti al sepolcro si arresta, egli si contenta di chinarsi per guardare attraverso l’apertura, il senso della gerarchia apostolica lo trattiene, soltanto dopo Pietro egli entra. Pietro, però  vede soltanto (20,6), mentre Giovanni: vede e crede (8), il quale non solo conclude che il corpo non è stato rubato, ma che Gesù è risorto! Pur non avendo ancora compreso le scritture (9), egli ricorda, perché in lui riposano vive le parole di Gesù, che Gesù sarebbe risorto. Anche dalla barca sul lago di Tiberiade, solo Giovanni ha la certezza che quell’uomo sulla riva è Cristo Risorto e come al sepolcro, non si precipita verso di lui, ma, riconoscendo in Pietro il capo degli apostoli, solo a lui comunica la sua percezione ed è quest’ultimo che si butta in acqua per raggiungere Gesù a riva, mentre gli altri tornarono con la barca.        
   Raggiunti Gesù videro un fuoco di brace con sopra del pesce che stava arrostendo.     Gesù disse loro di portare dei pesci pescati ora. Gesù voleva preparare ai discepoli un numero maggiore di pesci, oppure desiderava che i discepoli si rendessero subito conto della straordinaria pesca compiuta, frutto anche della loro fatica.
   Il vangelo giovanneo mostra il suo interesse su Simon Pietro, il capo degli apostoli, facendo rilevare la difficoltà dell’equipaggio della barca a tirare su la rete in barca; mentre la difficile operazione, viene compiuta da un solo uomo: Pietro.
Presentando così il miracolo, Giovanni intende segnalare il contenuto dottrinale di esso: La rete era piena di grossi pesci: di 153 grossi pesci; si ritiene che l’indicazione di questo numero preciso e ben definito, racchiude un senso simbolico: S. Gregorio Magno rilevava che racchiudeva un grande mistero; mentre S. Girolamo pensava che tale cifra corrispondeva al numero di tutte le specie di pesci conosciuti dagli antichi. Recentemente Heinz Kruse ha ripreso in esame una spiegazione tentata in passato, illustrandola con nuove prove. Questo autore ritiene che tale cifra sia un procedimento di gematria, fondato su una espressione ebraica. Presso gli antichi e presso gli ebrei vigeva l’uso di abbinare numeri e parole, cioè di indicare un numero per formulare una proposizione. Tra i graffiti di Pompei se ne legge uno in greco che dice: “Amo colei che ha il numero 545”, al numero 545 corrisponde il nome di una fanciulla. Siccome ad un numero potevano corrispondere più nomi a secondo della divisione della cifra in centinaia, decine, unità, si poteva fare uso del giuoco della isopsephia (= uguale numero), cioè con un numero si designava un nome o si formulava una proposizione. Nella Bibbia un esempio di gematria si ha in Apocalisse 13,18; il numero 666 indica il nome ebraico: Qesar Neron .
Secondo Heinz  Kruse il numero 153 designa l’espressione ebraica ( non aramaica ) : qhal ha’ahabah, che significa: “la Chiesa dell’amore, [della carità]”. Questa designazione, espressa oppure tradotta con i valori numerici rispondenti alle singole consonanti ebraiche: [ q = 100;  h = 5; l = 30; h = 5; ‘ = 1; h = 5; b = 2; h = 5 ] che dà come somma la cifra 153. Tale designazione rientra nella concezione giovannea  ed in pari tempo offre un’elevata concezione ecclesiologica, cioè afferma che la Chiesa è amore; così infatti la Chiesa è chiamata dai Padri Apostolici.
La rete non si spezzò; particolare che illustra un altro aspetto della Chiesa: l’unità di tutti i credenti, che deve attuarsi tra tutti coloro che abbracciano la fede nell’unico Cristo per la predicazione degli apostoli; tale unità produrrà, in un certo senso, quella che esiste tra il Padre ed il Figlio. (cf. 17). Secondo l’insegnamento dei sinottici la pesca con la rete indica la venuta del regno dei cieli e la missione degli apostoli.             
   Poi Gesù invita i discepoli a prendere il pane e il pesce da Lui preparato. Nessuno dei discepoli osava domandargli: Tu chi sei?; tutti sanno che è Gesù, e tutti sono pervasi da un senso di sacro rispetto e stupore che impedisce loro di rivolgergli domande. Anche questo silenzio è un riconoscimento implicito, un atto di fede nella resurrezione. Mentre il silenzio è sovrano, Gesù si avvicina loro e li serve, come spesso aveva già fatto. Tale gesto conferma ai discepoli che il Maestro, dopo la resurrezione, non soltanto conserva verso di loro la stessa bontà d’un tempo, ma attua quanto aveva loro promesso nei discorsi d’addio, assicurandoli della sua presenza e del suo aiuto.
   La precisazione di Giovanni che questa è la terza volta che Gesù appare loro, quasi per precisare che questa, descritta solo nel quarto vangelo, è la prima apparizione in Galilea, mentre le altre verificatesi nella stessa Galilea e ricordate dai sinottici, sono posteriori a questa.      
“Quando ebbero pranzato, Gesù dice a Simon Pietro: Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?” Come al momento della Sua chiamata all’apostolato, Pietro viene qui indicato col nome di Simone di Giovanni (cf. 1,42) e così interrogato alla presenza degli altri apostoli. Gesù qui lascia intravedere che la suprema autorità sulle anime deve essere accompagnata da un amore più intenso verso Gesù e quindi verso gli uomini. “Amare” qui indica il più incondizionato e fedele attaccamento a Cristo; con questa espressione, discreta e delicata, il Maestro ricorda a Pietro quando questi aveva detto alla vigilia della Passione; in quella circostanza infatti l’apostolo aveva protestato che non avrebbe mai abbandonato Gesù, anche se gli altri lo avrebbero fatto (cf. Mc 14,29 e Gv 13,37). La triplice domanda che il Salvatore rivolge a Pietro non ha solo lo scopo di riabilitare l’apostolo presso gli altri e a Se stesso, ma si prefigge anche quello di illuminare lo stesso Pietro su quanto Gesù gli dirà. L’apostolo, fiducioso di sé, era stato capace di rinnegare per tre volte il Maestro; ora Gesù per tre volte lo interpella per fargli capire che lo unisce strettamente a Sé investendolo di poteri sovrani sopra il Suo gregge. “Sì, Signore, tu lo sai che ti amo”. La risposta di Pietro è di una umiltà semplice e trasparente; egli non si confronta con gli altri, ma si rimette alla perfetta conoscenza che Gesù, come Dio, ha di lui. “Pasci i miei agnelli” Con questa solenne dichiarazione il Salvatore affida a Pietro l’autorità suprema sull’intero suo gregge. “Mi ami tu?” Anche se nella seconda e terza domanda vengono tralasciate le parole: “più di costoro” mantengono la stessa forza della prima e Pietro alla seconda domanda risponde con la stessa forza e convinzione della prima, mentre Gesù gli dice: “Pasci le mie pecorelle”. Il termine pecorelle, qui usato, non ha nessuna incidenza sul senso delle dichiarazioni di Cristo; le tre proposizioni imperative di Gesù Risorto ripetono solo la stessa consegna del Salvatore, perciò non bisogna pensare che gli agnelli designano gli apostoli, le pecorelle i semplici fedeli. Similmente il fatto che Gesù interroga Pietro con l’appellativo di “Simone di Giovanni”, non ha nessun significato particolare se non ricordare il primo incontro di Pietro con Gesù, quando Questi vedendolo: fissò lo sguardo su di lui.
   Certo nel porre a Pietro le tre domande, Gesù lo sta fissando con la stessa intensità di quel giorno. E, vinto da quello sguardo, alla terza domanda si arrende mostrandosi addolorato. L’apostolo avverte l’intenzione recondita che ha Cristo nel rivolgergli per la terza volta la stessa domanda;  infatti Gesù dopo che Pietro lo ha rinnegato tre volte, nonostante le ferme proteste di fedeltà, vuole quasi metterlo alla prova inducendolo a dichiarare ancora un’ultima volta e in modo più consapevole ed incondizionata la  sua fedeltà a Lui. “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti amo”. Pietro con questa sua risposta si appella alla onniscienza di Cristo (“tu conosci tutto”) e alla sua esperienza (“tu sai che ti amo”). E Gesù: “Pasci le mie pecorelle”.  Secondo Giovanni con questa espressione Gesù conferisce a Pietro il governo delle anime, mentre dall’intero colloquio con Pietro, in presenza degli altri apostoli, si evince che Gesù gli conferisce il primato di autorità sulla chiesa universale.
La tradizione della chiesa, poi confermata dal Concilio Vaticano I, ritiene che con queste parole Gesù ha conferito a Pietro la suprema giurisdizione di pastore  e di guida dell’intero suo gregge.   
 

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