giovedì 3 ottobre 2019


PERCHE’ E COME FURONO SCRITTI I VANGELI
Perché sono stati scritti i Vangeli? Quando? - Quali sono i Vangeli sinottici? - Somiglianze e diversità tra i Sinottici … perché? - Chi sono gli autori dei Vangeli e le comunità alle quali sono inizialmente indirizzati?
All’inizio c’era la Parola, così comincia il Vangelo di Giovanni; all’inizio di tutto c’è la Parola e la Parola si è fatta carne. L’uomo Gesù è al principio di tutto. C’è stata un’esperienza concreta: alcuni uomini hanno incontrato questo personaggio storico, hanno vissuto con lui, lo hanno conosciuto, gli hanno voluto bene, hanno creduto in lui. All’inizio c’è questa esperienza umana fortissima, caratterizzata da affetti, c’è l’esperienza di una persona che ha parlato di Dio, “ha detto Dio” con tutta la sua esistenza fino al vertice stranissimo della morte in croce e, oltre la morte, con la sua risurrezione. In principio era la Parola fatta carne in Gesù di Nazareth e gli apostoli hanno vissuto questa esperienza e hanno cominciato a parlare di lui. Prima che ci fossero i Vangeli esistevano gli apostoli; i Vangeli sono il prodotto degli apostoli, non di Gesù direttamente. Gesù non ha scritto nulla, se non qualche parola sulla sabbia, come dice Giovanni. Sono gli apostoli e i loro discepoli che hanno messo per iscritto la predicazione su Gesù.
Per capire la nascita dei Vangeli ripercorriamo un percorso di almeno tre fasi:
          LA PREDICAZIONE DI GESÙ (A PARTIRE DA CIRCA IL 30 D.C.)
Gesù è il soggetto della predicazione: ha predicato, e si è scelto e formato dei discepoli. Essi hanno ascoltato per tre anni la sua parola, una parola che doveva avere canoni di ripetitività: predicando nei villaggi, nelle sinagoghe, Gesù si trovava di fronte un uditorio sempre diverso, al quale proponeva, con tutta probabilità, lo stesso identico messaggio; ciò vale sicuramente se consideriamo archi di tempo limitati. Insegnamenti diversi possono essere stati forniti in fase diverse del suo ministero. Inoltre, Gesù ha dedicato una parte del suo ministero pubblico alla formazione più specifica del gruppo ristretto dei dodici, evitando di proposito le folle. Questo carattere di ripetitività è in linea con il modo di insegnare del tempo. I rabbini usavano ripetere molte volte le loro lezioni, perché si imprimessero nella memoria dei discepoli. L'esigenza di insegnare a memoria nasce dal fatto che la scrittura era impraticabile in condizioni normali. Mentre tutti sapevano leggere, pochissimi sapevano scrivere, ed erano i cosiddetti scribi. Si scriveva su tavolette (scomodo!) o su fogli di papiro (costosissimi!).
In entrambi i casi scrivere era un procedimento estremamente laborioso, che non poteva essere usato nella vita quotidiana e nel rapporto maestro-discepoli.
     LA PREDICAZIONE DEGLI APOSTOLI (CIRCA DAL 30 AL 60-65 D.C.)
Gesù diventa l’oggetto dell’evangelizzazione: il gruppo degli apostoli, dopo la Pasqua di Gesù, inizia ad annunciare a Gerusalemme la sua risurrezione e la sua dignità messianica. La primitiva comunità cristiana annuncia oralmente la buona notizia di Gesù messia. È un annuncio dal contenuto essenziale: lo troviamo ripetutamente nelle “prediche” di Pietro e Paolo che sono riportate negli Atti degli Apostoli (cf. At 10,37-43). Tali prediche sono un autentico vangelo in miniatura, sullo stesso schema che ritroviamo nei vangeli sinottici.
Lentamente i ricordi ed i racconti su Gesù assumono una forma ben precisa, che si conserva nel processo seguente di trasmissione. I detti e i fatti di Gesù, ricordati e riproposti dalla predicazione apostolica, si sono fissati ben presto in una forma determinata. Sono stati insegnati e ripetuti molte volte, spesso senza contesto e con collegamenti vari. Così anche i racconti degli avvenimenti principali della sua vita hanno presto preso forma e si sono tramandati in modo costante e fedele.
I TESTI DEI VANGELI  (CIRCA DAL 65 AL 100 D.C.)
Che cosa sono i Vangeli? Sono il linguaggio più semplice che abbiamo per trasmettere la nostra fede anche ai bambini e non è corretto dire: i Vangeli sono la vita di Gesù. La definizione più corretta è questa: i Vangeli sono il deposito scritto della predicazione apostolica. Sono, cioè, il documento scritto di quello che gli apostoli dicevano oralmente. È molto importante ricordare che lo scritto deriva dalla predicazione degli apostoli, dei testimoni oculari, di quelle persone che hanno fatto una esperienza umana. Non si tratta della registrazione immediata dei fatti e delle parole, ma è il loro ripensamento e loro la trasmissione.
Per molto tempo, infatti, si sono dovuti accontentare di parlare e di ripetere oralmente la loro esperienza. Solo ad un certo momento nacque l’esigenza di mettere la tradizione orale per iscritto, per poter ricordare meglio, per poter trasmettere con più fedeltà l’esperienza degli apostoli, per poter garantire la permanenza e l’esattezza di quella predicazione mentre gli apostoli stavano morendo e stava finendo la generazione dei testimoni oculari. Anche perché passarono gli anni, i decenni, e le persone diventarono tante, gli ambienti si moltiplicarono, cambiarono anche le lingue e le culture, si cominciò a capire che era necessario che ci fosse una documentazione scritta, un deposito tradizionale, cioè qualche cosa che fosse fissato in modo tale da garantire una fedele tradizione dell’esperienza che gli apostoli avevano fatto con Gesù. Nacquero così i Vangeli, scritti secondo alcune esigenze e funzioni:
Funzione catechetica
All’interno delle comunità cristiane, che già avevano accolto l’annuncio del Signore, crebbe il desiderio di riflettere sull’evento evangelico per meglio trasmetterlo ai fratelli. Il Mistero salvifico della morte e risurrezione di Cristo andava trasmesso, andava in un certo modo compreso per nutrire la propria fede: da qui si concretizzò una funzione catechetica del testo evangelico, che rappresentava in pieno la manifestazione dell’insegnamento del Signore nella predicazione della venuta del Regno. Mettendo per iscritto l’evento della salvezza i primi cristiani elaborarono il materiale per approfondire il Mistero stesso.
Funzione liturgica
Anche le esigenze della liturgia pretendevano la stesura dei testi, in modo che questi potessero essere proclamati nel momento della preghiera comunitaria. Inoltre dal Vangelo scritto scaturivano le preghiere che l’assemblea recitava, come il Padre Nostro. La liturgia fece sorgere l’esigenza di poter pregare alla luce di ciò che Gesù aveva detto a chi sceglieva di seguirlo. Perciò il Vangelo è stato scritto anche per affrontare il mistero in maniera più profonda, soprattutto pregando comunitariamente.
Funzione missionaria
L’annuncio evangelico, dopo essere stato approfondito attraverso una catechesi, ed essere stato interiorizzato nella liturgia, doveva essere annunciato e portato all’esterno: da qui la funzione missionaria. I Vangeli andavano redatti in testi scritti anche per essere portati e letti nel mondo, e lo testimonia il fatto che vennero scritti in greco: questa, infatti, era la lingua più parlata nel Mediterraneo. Sintetizzando possiamo dire che il Vangelo nasce come la culla della vita della Chiesa che prega, approfondisce il mistero e annuncia: senza il Vangelo vivremmo una Chiesa diversa da quella che oggi conosciamo. La riflessione su Gesù dà vita ad una tradizione che entra a far parte della Chiesa, e si concretizza proprio con queste funzioni.
Funzione pratica nella Chiesa locale
Gli evangelisti hanno prestato attenzione anche al contesto nel quale vivevano coloro ai quali stavano scrivendo. Infatti ognuno dei Vangeli utilizza un tipo di linguaggio differente, vicino alla comunità alla quale si rivolge. Il Vangelo, quindi, risponde ad esigenze di natura concreta, di vera e propria comprensione dei problemi. Chi leggeva il Vangelo poteva cercare in esso alcune risposte a problematiche pratiche. La funzione pratica del testo rispondeva ai quesiti che i cristiani, o coloro che si stavano convertendo, desideravano risolvere alla luce della fede. Un esempio è dato dalle domande circa il comportamento da tenersi nel giorno di sabato, o come gestire l’ordinamento del matrimonio. Gesù ha risposto ad ognuna di queste domande attraverso l’azione dello Spirito, quello Spirito Santo per il quale affermiamo che la Parola del Vangelo è ispirata da Dio.
In sintesi, possiamo affermare che la tradizione evangelica si fonda su tre spinte particolari: 1. Un interesse appassionato per la figura di Gesù Cristo; 2. La vita delle comunità cristiane vive ed operose nelle tre funzioni catechetica, liturgica e missionaria; 3. Le necessità pratiche delle comunità che si pongono domande su come vivere la propria fede seguendo la volontà del Signore.
LA STESURA DEI VANGELI INIZIA NEGLI ANNI 60.
Probabilmente il primo ad essere stato scritto è quello di Marco, poi forse quello di Luca, quindi quello di Matteo e ultimo, verso la fine del secolo, quello di Giovanni. Quindi all’incirca dal 60 all’anno 100 d.C., in questi quaranta anni, lentamente, nascono i quattro Vangeli, mentre nei trent’anni che vanno circa dall’anno 30 d.C. fino agli anni 60, non abbiamo documentazione scritta, eccetto qualche lettera di Paolo. Il primo scritto del Nuovo Testamento è la prima lettera ai Tessalonicesi, scritta intorno all’anno 51 d.C. Tra gli scritti che possediamo il più antico è questa lettera che Paolo scrive ai cristiani che abitavano a Tessalonica, dieci anni prima che esistesse un Vangelo, quello di Marco.
VANGELI  SINOTTICI
I tre Vangeli, quelli di Marco, Matteo e Luca sono chiamati sinottici.
Sinossi significa visione d’insieme e l’aggettivo derivato, “sinottico”, indica un Vangelo che si può guardare con un unico colpo d’occhio.
Griesbach inventò una sinossi, cioè ebbe l’idea di scrivere i Vangeli su tre colonne parallele in modo tale che, su una unica pagina, ci fosse il testo di Matteo, quello di Marco e quello di Luca, consentendo a chi legge, con un unico colpo d’occhio, di poter visionare l’uno, l’altro e l’altro ancora. Il lettore legge una frase di Matteo, tiene d’occhio anche Marco e anche Luca, e vede subito somiglianze e differenze: questo è in più, questo in meno, questo è diverso... Fu una intuizione geniale, non ci avevano mai pensato e stampò questa sua prima edizione di un libro originale che chiamò, appunto, SINOSSI. L’idea piacque e fu ripetuta tante volte e ancora oggi noi abbiamo edizioni dei Vangeli in sinossi. Dagli anni ’70 c’è una sinossi in italiano molto valida di cui ne esistono tanti formati ed edizioni, alcune anche con il testo greco. Con un lungo esercizio di lettura ci si abitua a riconoscere i Vangeli. Possiedo un testo secondo la sinossi greca del P. Lagrange o.p. 6°edizione Morcelliana BS ’73   
L’UNITÀ NELLA MOLTEPLICITÀ
Questa distinzione è importante, non semplicemente per un gusto letterario, ma perché ogni evangelista è portatore di un messaggio differente. Non basta un Vangelo. La saggezza della tradizione ecclesiale ne ha scelti quattro, quattro come i punti cardinali, come le parti del mondo, proprio per indicare una molteplicità cosmica; per indicare, appunto, come la verità sia trasmessa in modo molteplice. È una specie di diamante con diverse facce. Matteo ha una sua impostazione, Marco ne ha un’altra; sono veri entrambi, ma sono diversi, rispecchiano l’unico Gesù Cristo eppure fanno due ritratti differenti. Se aggiungiamo Luca i ritratti sono tre, se aggiungiamo Giovanni quattro. L’unico Gesù Cristo è stato ritratto in quattro modi differenti. Qual è quello vero? Tutti e quattro, è un principio fondamentale. Ireneo, uno dei primi grandi padri della Chiesa, parla dell’unico Vangelo “quadriforme”: un unico Vangelo che ha quattro forme.
Ognuno Trasmette Sostanza Essenza e Scopo del Messaggio di Gesù.
NON “VANGELO DI”, MA “VANGELO SECONDO”
Un punto decisivo sta proprio lì, in quella particella: Vangelo secondo Matteo.  
Non è corretto dire Vangelo di Matteo; poi per praticità lo diciamo, ma volendo essere precisi a livello di metodo il Vangelo è di Gesù Cristo; è Gesù l’unico Vangelo. Poi ci sono quattro testi che contengono il Vangelo di Gesù Cristo; il primo secondo Matteo, l’altro secondo Marco e così via.
Cioè è il Vangelo di Gesù Cristo mediato da Matteo, interpretato, tradotto, adattato, spiegato, trasmesso da un uomo, un testimone, un autore ben preciso che ha usato la sua testa, la sua intelligenza, la sua abilità letteraria.
Non è un testo dettato da Gesù. È un testo scritto da degli uomini che hanno adattato il loro messaggio alla comunità alla quale si rivolgevano. In tutto questo, è chiaro, c’è il lavoro di Dio e crediamo fermamente che siano testi ispirati, poiché sono ispirati coloro che hanno lavorato con la loro intelligenza nel mettere per iscritto quei testi. Il testo è ispirato ed è il prodotto del lavoro di tante persone che hanno messo a frutto tutte le loro capacità umane. Dio non ha usato meccanicamente degli uomini come fossero dei burattini. Dio, invece, non ha mai voluto privarsi della libera collaborazione dell’uomo nel lungo cammino della sua storia con l’umanità. L’evangelista è una persona libera e intelligente che ha usato la sua libertà, la sua intelligenza e la sua volontà e Dio lo ha rispettato pienamente, non lo ha invasato mandandolo in trance in modo tale che scrivesse senza sapere cosa scriveva. Il Signore ha illuminato la sua intelligenza senza che Matteo se ne accorgesse; Matteo ha ragionato, ha pensato, ha organizzato il materiale e Dio ha collaborato con lui o, meglio, Matteo ha collaborato docilmente con Dio producendo quel testo.
Lo stile di Matteo è presente nel primo evangelo, come lo stile di Marco è presente nel secondo. Dio non ha appiattito le persone, le ha rispettate e così per Luca e Giovanni.
Tutti e ognuno hanno inteso trasmettere, con i loro Vangeli, il nucleo l’essenza il fine del messaggio salvifico di Gesù. Un esempio per tutti:
L’unzione con prezioso profumo della peccatrice a Gesù, descritta da tutti e quattro Vangeli, (Matteo 26,6-13, Marco 14,3-9, Luca 7,34-50, Giovanni 12,1-8)      pur con alcune discrepanze, trasmettono l‘identico messaggio: La peccatrice cosparse i piedi e il capo di Gesù perché aveva molto peccato ed ora è molto amata : “La tua fede ti ha salvato, và in pace!”. “In verità IO vi dico: dovunque sarà predicato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto”
Riassumiamo la questione con le Parole del Concilio. Ora che abbiamo fatto questa panoramica generale, rileggiamo alcune parole della costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum, del Concilio ecumenico Vaticano II, che sintetizza mirabilmente tutto il discorso: “Gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte che erano tramandate a voce o già per iscritto, redigendo un riassunto di altre, o spiegandole con riguardo alla situazione delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere”. (Dei Verbum 19)
Per Chi Scrive Marco?
Marco verso il 60 d.C è a Roma come stretto collaboratore di Paolo e di Pietro.
In questa circostanza e per questa comunità ecclesiale, verso l’anno 65 d.C., egli intraprende la stesura del suo Vangelo in greco, col fine di conservare la predicazione apostolica e tramandarla in modo fedele e preciso. L’uditorio a cui si rivolge è dunque di origine pagana, da poco venuto alla fede e quasi all’oscuro delle questioni religiose giudaiche, per questo Marco arricchisce le sue fonti con delle piccole spiegazioni. Inoltre in quegli anni a Roma i cristiani cominciavano a sentire il pericolo della persecuzione e sotto Nerone (nell’anno 64 d.C.) molti di loro furono violentemente uccisi. Il clima della comunità è quindi segnato da questi gravi problemi e si comprende, di conseguenza, la grande insistenza di Marco sul tema della croce di Cristo.
Per Chi Scrive Matteo?
Matteo, pubblicano e poi discepolo di Cristo, scrisse in lingua ebraica (o aramaica) per i credenti che venivano dal giudaismo. I destinatari perciò sono i convertiti dall’ebraismo ed il contenuto del suo vangelo è l’insieme degli insegnamenti, delle catechesi di Matteo a quella comunità di credenti in Cristo Gesù e la Sua Parola.
È considerato il "vangelo palestinese" per eccellenza.

Per Chi Scrive Luca?
Luca è stato discepolo di Paolo fino alla morte dell’Apostolo delle Genti.
L’assidua sua compagnia a Paolo si desume dagli Atti degli Apostoli, pure da lui scritti, precisamente al capitolo 20,6 Luca registra ”noi invece salpammo da Filippi ….”  e dalle lettere di Paolo: “Ti saluta Epafra, mio compagno di prigionia per Cristo Gesù, con Marco, Aristarco, Dema e Luca, miei collaboratori” (Lettera a Filemone)
Le informazioni desunte dalla tradizione patristica dicono che Luca scrisse il suo Vangelo in Grecia; Origene precisa che «fu scritto per coloro che provenivano dalle genti», cioè per i greci pagani convertiti. L’analisi dell’opera conferma senz’altro questa opinione: Luca scrive in greco per una comunità di lingua e cultura greca, in grandissima parte proveniente dal paganesimo.
Per Chi Scrive Giovanni?
Il Vangelo secondo Giovanni è stato scritto originariamente in greco. Il testo, tuttavia, contiene latinismi ed ebraismi. Il testo sarebbe indirizzato a cristiani di origine non ebraica, con formazione culturale ellenistica.
Questo vangelo è molto diverso rispetto agli altri: ci sono molte meno parabole, meno miracoli, non vi è accenno all'eucaristia, al Padre nostro, alle beatitudini. Compaiono invece nuove espressioni per indicare l’”Amore”. Gesù ha un’intima comunicazione con Giovanni, il discepolo che Gesù amava.
Il Prologo del Vangelo secondo Giovanni, testo capitale del cristianesimo primitivo, costituisce l'incipit del Vangelo secondo Giovanni ed è anche detto Inno al Logos .
La culla di nascita di questo vangelo nasce in una ben precisa comunità del cristianesimo primitivo, quella costituitasi in Asia Minore a  Efeso e nelle località limitrofe facenti capo alla guida di Giovanni e alla stessa Maria di Nazareth che aveva seguito Giovanni su indicazione di Gesù stesso.


GESÙ  E  LA PECCATRICE
“la donna del profumo”  (Lc 7,36-50)
           Una donna senza nome «pubblica peccatrice pentita perdonata», “la donna del profumo” è una delle tante donne anonime che compaiono nel vangelo di Luca. Alcuni la scambiano con Maria di Betania, la sorella di Marta e Lazzaro, o con Maria Maddalena, dalla quale Gesù scacciò sette demoni, o persino con la donna adultera che si trovò nell’imminente pericolo di essere lapidata dai suoi accusatori.
Per noi, invece, è semplicemente la donna del profumo, è colei che versò il suo vaso di alabastro sopra i piedi del maestro. «La donna del profumo»
Quello di Luca è il vangelo che narra in maggior numero storie di donne. È l’unico che ci racconta la storia di Elisabetta, di Maria, di Anna, della vedova di Naim, della donna del profumo, di Maria Maddalena, di Giovanna, di Susanna e di altre donne della Galilea, di Marta e Maria, della donna curva, della donna che cerca la moneta perduta, della vedova insistente e delle donne che piangono Gesù in cammino verso il Calvario. Sono tutte esclusive narrazioni di Luca, anche se nel suo vangelo troviamo altre storie di donne che hanno la loro parallela comparsa nei vangeli di Marco e di Matteo: la storia della suocera di Simone, della figlia di Giairo e dell’emorroissa, della donna che impasta il pane, della vedova povera che dona tutto quanto ha, delle donne della Galilea che danno testimonianza della morte e sepoltura di Gesù e scoprono la tomba vuota.
“In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e stando dietro, presso i suoi piedi, piangendo cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. A quella vista il fariseo che l’aveva invitato pensò tra sé: “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice”. Gesù allora gli disse: “Simone, ho una cosa da dirti”. Ed egli: “Maestro, dì pure”: “Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?” Simone rispose: “Suppongo quello a cui ha condonato di più”. Gli disse Gesù: “Hai giudicato bene”. E volgendosi verso la donna, disse a Simone: “Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m’hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco”. Poi disse a lei: “Ti sono perdonati i tuoi peccati”.  Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: “Chi è quest’uomo che perdona anche i peccati?” Ma egli disse alla donna: “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!””
La donna del profumo ha vissuto una vita di peccato. E Gesù, il pedagogo, il terapeuta, applica un rimedio di efficacia istantanea. Perdona all’istante tutti i suoi peccati. Non li ricorda più, non li conta più. Il rimedio di Gesù rigenera nel cuore distrutto della donna i sentimenti più delicati dell’essere umano: amore e gratitudine. La donna del profumo è la donna del molto amore, la donna della gratitudine infinita, la donna che non sa esprimere in parole quanto il suo cuore sente per Gesù. E giacché non sa parlare, il suo cuore la spinge ad un gesto audace.
I Vangeli di Matteo, Marco e Giovanni presentano il racconto di una unzione, che somiglianze e che differenze mostrano rispetto all’episodio narrato da Luca. In Luca e negli altri vangeli la protagonista della nostra storia si confonde spesso con un’altra donna che, nell’imminenza della passione, unge i piedi di Gesù, anticipando così la sua morte e sepoltura (Mc 14, 3-9; Mt 26, 6-13; Gv 12, 1-8). È una identificazione comprensibile, giacché i racconti di Marco e di Luca coincidono in alcuni punti: in ambedue la donna è anonima ed entra nella casa di Simone; Gesù è seduto a tavola, la donna porta un vaso di alabastro pieno di profumo e con esso unge Gesù; i presenti reagiscono contro la donna, mentre Gesù si mette dalla sua parte. Anche il vangelo di Giovanni condivide alcuni dettagli con il nostro racconto: la donna unge i piedi di Gesù (non la testa, come in Marco e Matteo) e li asciuga con i suoi capelli.
Rileviamo ora quegli elementi caratteristici del racconto di Luca che lo distinguono dagli altri evangelisti. In Luca l’episodio sembra aver luogo in Galilea, non a Betania come in Marco, Matteo e Giovanni. In Luca Simone è un fariseo e Simone è il suo nome proprio; e non è un lebbroso come in Marco e Matteo. In Luca la donna è anonima e inoltre peccatrice, mentre in Giovanni la protagonista è Maria, la sorella di Marta e di Lazzaro.
In Luca l’unzione si colloca durante il ministero di Gesù in Galilea, non poco prima della sua passione,  come avviene in Marco, Matteo e Giovanni. In Luca ad opporsi al gesto della donna è Simone. In Giovanni è Giuda; in Matteo i discepoli e in Marco alcune persone anonime criticano lo sperpero del profumo: l’unzione di Gesù è un attentato alla povertà, il denaro del profumo avrebbe dovuto essere impiegato per soccorrere i poveri.
In Luca questo segno di pentimento procura il perdono dei molti peccati alla peccatrice perciò nella casa del fariseo, dove era stato invitato, Gesù imbandisce il banchetto nuziale per la peccatrice inopportuna e indesiderata. Il fariseo orgoglioso della sua giustizia non può partecipare alla danza dell'amore se prima non piange il suo peccato.
La presenza della peccatrice che ama, mostra al giusto il suo peccato profondo, quello di non saper amare.  Il peccato tipico del giusto è quello di comprarsi l'amore di Dio con la moneta sonante e delle proprie buone opere. E' il peccato "naturale" di tute le religioni, che suppongono un Dio cattivo da imbonire
Il racconto serve per persuadere il giusto di peccato perché vuole meritare l'amore di Dio che questo amore è gratuito.
Questa donna è figura del vero popolo di Dio che si riconosce peccatore e bisognoso di perdono; è il simbolo dell'umanità peccatrice che ritorna al suo sposo, Dio.










Appendice
Studi numerosi e interessanti hanno tentato di risolvere il problema che pongono le affinità e le differenze dei quattro racconti evangelici. È molto importante ricordare che lo scritto deriva dalla predicazione degli apostoli, dei testimoni, di quelle persone che hanno fatto una esperienza umana. Non si tratta della registrazione immediata dei fatti e delle parole, ma è il loro ripensamento e loro la trasmissione
L’unità nella molteplicità,
ogni evangelista è portatore di un messaggio differente. Non basta un Vangelo. La saggezza della tradizione ecclesiale ne ha scelti quattro, quattro come i punti cardinali, come le parti del mondo, proprio per indicare una molteplicità cosmica; per indicare, appunto, come la verità sia trasmessa in modo molteplice. È una specie di diamante con diverse facce. Matteo ha una sua impostazione, Marco ne ha un’altra; sono veri entrambi, ma sono diversi, rispecchiano l’unico Gesù Cristo eppure fanno due ritratti differenti. Se aggiungiamo Luca i ritratti sono tre, se aggiungiamo Giovanni quattro. L’unico Gesù Cristo è stato ritratto in quattro modi differenti. Qual è quello vero? Tutti e quattro, è un principio fondamentale. Santo Ireneo, uno dei primi grandi padri della Chiesa, parla dell’unico Vangelo “quadriforme”: un unico Vangelo che ha quattro forme.
Ognuno Trasmette Sostanza Essenza e Scopo del Messaggio di Gesù.

Sinossi del testo

Presentazione
6Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso,
3aGesù si trovava a Betània, nella casa di Simone il lebbroso.
36Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola.
1Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. 2E qui fecero per lui una cena: Martaserviva e Lazzaro era uno dei commensali.
Unzione
7gli si avvicinò una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre egli stava a tavola.
3bMentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo.
37Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; 38stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo.
3Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell'aroma di quel profumo.
Sdegno
8I discepoli, vedendo ciò, si sdegnarono e dissero: «Perché questo spreco? 9Si poteva venderlo per molto denaro e darlo ai poveri!».
4Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: «Perché questo spreco di profumo? 5Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed erano infuriati contro di lei.
39Vedendo questo, il fariseo che l'aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!».
4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: 5«Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?».
40Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Dì pure, maestro». 41«Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l'altro cinquanta. 42Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». 43Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene».
Difesa
10Ma Gesù se ne accorse e disse loro: «Perché infastidite questa donna? Ella ha compiuto un'azione buona verso di me. 11I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me. 12Versando questo profumo sul mio corpo, lei lo ha fatto in vista della mia sepoltura. 13In verità io vi dico: dovunque sarà annunciato questo Vangelo, nel mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche ciò che ella ha fatto».
6Allora Gesù disse: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un'azione buona verso di me. 7I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. 8Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. 9In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto».
44E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. 46Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. 47Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». 48Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». 49Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». 50Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; và in pace!».
6Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. 7Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. 8I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».
Differenze tra le versioni


APPARIZIONE DI CRISTO AL LAGO DI TIBERIADE

E PESCA MIRACOLOSA

PIETRO SUPREMO PASTORE DEL GREGGE


   “Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio” (Atti 1,3).  
   Matteo ci riferisce che gli undici andarono in Galilea e specifica: sul monte che Gesù aveva loro fissato: “Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi…E Gesù, avvicinandosi, disse loro: - Mi è stato dato ogni potere in cielo ed in terra. Andate dunque ed ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, …..  Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo -“ (Mt 28, 16 –20) .
   L’ultimo racconto del Vangelo di Matteo,  non si deve intendere come conclusione, ma una nuova apertura, un nuovo inizio. Da quella montagna lo sguardo vuole abbracciare i confini della terra, il destino dell’umanità.  Il Cristo è stabilito nella sua sovranità, la sua gloria risplende. I suoi porteranno il suo messaggio e il suo mistero, porteranno un battesimo per tutta l’umanità e una comunione con Dio per tutti gli uomini. E’ il tempo della missione universale: Dio con noi, questo è il nome di Gesù, “ EMANUELE “ (Mt 1, 23 cf. Is 7, 14 e 8, 8 - 10).
   L’ultimo racconto del Vangelo Secondo Giovanni ci mostra l’apparizione del Risorto sul lago di Tiberiede, raccontata solo nel suo vangelo. E’ certo che sono in Galilea ed è certo che il Risorto vuole dare agli apostoli forza e potere per proseguire la missione che il Padre aveva a lui conferito. Pertanto dà nuovo inizio.
   L’episodio della pesca miracolosa, secondo la tradizione archeologia, va situata sulla sponda del lago di Tiberiade ad ovest di Cafarnao, nella località Sette Fonti; dal suo nome in greco: Heptapegon deriva il nome della moderna Tabgha. A Tabgha si trova una lastra di pietra, chiamata: Mensa Domini; secondo la tradizione, Gesù su di essa aveva preparato da mangiare ai suoi discepoli. Gli apostoli, tornati in Galilea, in attesa degli eventi e di rivedere ancora il Maestro Risorto, riprendono il loro antico mestiere di pescatori:
La pesca notturna fu infruttuosa e mentre sul far del mattino si avviavano alla riva dalla quale distavano circa 100 metri, i discepoli scorgono una persona, ma non riconoscono che era Gesù. Gesù chiedendo loro qualche pesce da mangiare, certo voleva chiedere loro se era andata bene la pesca, essi dichiararono l’infruttuosità della pesca notturna.  Allora Gesù dice agli apostoli di gettare di nuovo la rete dalla parte destra della barca, perché avrebbero pescato. Sulla sua parola la gettarono e per la quantità di pesci non riuscivano più a tirare la rete sulla barca. L’accento posto sulla straordinaria abbondanza della pesca, richiama l’abbondanza riscontrata in altri miracoli di Cristo: Cana, acqua in vino, moltiplicazione dei pani ecc.  Allora il discepolo, quello che Gesù amava, per primo riconosce  il Signore”. Gesù, in Giovanni, è indicato con il termine: “Il Signore” perché designa la sua divinità.
   Negli ultimi due capitoli del quarto vangelo, l’evangelista ci fa rilevare che la gerarchia non è fondata solo nella santità o nella intensità dell’amore, ma sulla scelta di Cristo. Su Pietro Gesù poggia la sua Chiesa! Giovanni davanti al sepolcro si arresta, egli si contenta di chinarsi per guardare attraverso l’apertura, il senso della gerarchia apostolica lo trattiene, soltanto dopo Pietro egli entra. Pietro, però  vede soltanto (20,6), mentre Giovanni: vede e crede (8), il quale non solo conclude che il corpo non è stato rubato, ma che Gesù è risorto! Pur non avendo ancora compreso le scritture (9), egli ricorda, perché in lui riposano vive le parole di Gesù, che Gesù sarebbe risorto. Anche dalla barca sul lago di Tiberiade, solo Giovanni ha la certezza che quell’uomo sulla riva è Cristo Risorto e come al sepolcro, non si precipita verso di lui, ma, riconoscendo in Pietro il capo degli apostoli, solo a lui comunica la sua percezione ed è quest’ultimo che si butta in acqua per raggiungere Gesù a riva, mentre gli altri tornarono con la barca.        
   Raggiunti Gesù videro un fuoco di brace con sopra del pesce che stava arrostendo.     Gesù disse loro di portare dei pesci pescati ora. Gesù voleva preparare ai discepoli un numero maggiore di pesci, oppure desiderava che i discepoli si rendessero subito conto della straordinaria pesca compiuta, frutto anche della loro fatica.
   Il vangelo giovanneo mostra il suo interesse su Simon Pietro, il capo degli apostoli, facendo rilevare la difficoltà dell’equipaggio della barca a tirare su la rete in barca; mentre la difficile operazione, viene compiuta da un solo uomo: Pietro.
Presentando così il miracolo, Giovanni intende segnalare il contenuto dottrinale di esso: La rete era piena di grossi pesci: di 153 grossi pesci; si ritiene che l’indicazione di questo numero preciso e ben definito, racchiude un senso simbolico: S. Gregorio Magno rilevava che racchiudeva un grande mistero; mentre S. Girolamo pensava che tale cifra corrispondeva al numero di tutte le specie di pesci conosciuti dagli antichi. Recentemente Heinz Kruse ha ripreso in esame una spiegazione tentata in passato, illustrandola con nuove prove. Questo autore ritiene che tale cifra sia un procedimento di gematria, fondato su una espressione ebraica. Presso gli antichi e presso gli ebrei vigeva l’uso di abbinare numeri e parole, cioè di indicare un numero per formulare una proposizione. Tra i graffiti di Pompei se ne legge uno in greco che dice: “Amo colei che ha il numero 545”, al numero 545 corrisponde il nome di una fanciulla. Siccome ad un numero potevano corrispondere più nomi a secondo della divisione della cifra in centinaia, decine, unità, si poteva fare uso del giuoco della isopsephia (= uguale numero), cioè con un numero si designava un nome o si formulava una proposizione. Nella Bibbia un esempio di gematria si ha in Apocalisse 13,18; il numero 666 indica il nome ebraico: Qesar Neron .
Secondo Heinz  Kruse il numero 153 designa l’espressione ebraica ( non aramaica ) : qhal ha’ahabah, che significa: “la Chiesa dell’amore, [della carità]”. Questa designazione, espressa oppure tradotta con i valori numerici rispondenti alle singole consonanti ebraiche: [ q = 100;  h = 5; l = 30; h = 5; ‘ = 1; h = 5; b = 2; h = 5 ] che dà come somma la cifra 153. Tale designazione rientra nella concezione giovannea  ed in pari tempo offre un’elevata concezione ecclesiologica, cioè afferma che la Chiesa è amore; così infatti la Chiesa è chiamata dai Padri Apostolici.
La rete non si spezzò; particolare che illustra un altro aspetto della Chiesa: l’unità di tutti i credenti, che deve attuarsi tra tutti coloro che abbracciano la fede nell’unico Cristo per la predicazione degli apostoli; tale unità produrrà, in un certo senso, quella che esiste tra il Padre ed il Figlio. (cf. 17). Secondo l’insegnamento dei sinottici la pesca con la rete indica la venuta del regno dei cieli e la missione degli apostoli.             
   Poi Gesù invita i discepoli a prendere il pane e il pesce da Lui preparato. Nessuno dei discepoli osava domandargli: Tu chi sei?; tutti sanno che è Gesù, e tutti sono pervasi da un senso di sacro rispetto e stupore che impedisce loro di rivolgergli domande. Anche questo silenzio è un riconoscimento implicito, un atto di fede nella resurrezione. Mentre il silenzio è sovrano, Gesù si avvicina loro e li serve, come spesso aveva già fatto. Tale gesto conferma ai discepoli che il Maestro, dopo la resurrezione, non soltanto conserva verso di loro la stessa bontà d’un tempo, ma attua quanto aveva loro promesso nei discorsi d’addio, assicurandoli della sua presenza e del suo aiuto.
   La precisazione di Giovanni che questa è la terza volta che Gesù appare loro, quasi per precisare che questa, descritta solo nel quarto vangelo, è la prima apparizione in Galilea, mentre le altre verificatesi nella stessa Galilea e ricordate dai sinottici, sono posteriori a questa.      
“Quando ebbero pranzato, Gesù dice a Simon Pietro: Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?” Come al momento della Sua chiamata all’apostolato, Pietro viene qui indicato col nome di Simone di Giovanni (cf. 1,42) e così interrogato alla presenza degli altri apostoli. Gesù qui lascia intravedere che la suprema autorità sulle anime deve essere accompagnata da un amore più intenso verso Gesù e quindi verso gli uomini. “Amare” qui indica il più incondizionato e fedele attaccamento a Cristo; con questa espressione, discreta e delicata, il Maestro ricorda a Pietro quando questi aveva detto alla vigilia della Passione; in quella circostanza infatti l’apostolo aveva protestato che non avrebbe mai abbandonato Gesù, anche se gli altri lo avrebbero fatto (cf. Mc 14,29 e Gv 13,37). La triplice domanda che il Salvatore rivolge a Pietro non ha solo lo scopo di riabilitare l’apostolo presso gli altri e a Se stesso, ma si prefigge anche quello di illuminare lo stesso Pietro su quanto Gesù gli dirà. L’apostolo, fiducioso di sé, era stato capace di rinnegare per tre volte il Maestro; ora Gesù per tre volte lo interpella per fargli capire che lo unisce strettamente a Sé investendolo di poteri sovrani sopra il Suo gregge. “Sì, Signore, tu lo sai che ti amo”. La risposta di Pietro è di una umiltà semplice e trasparente; egli non si confronta con gli altri, ma si rimette alla perfetta conoscenza che Gesù, come Dio, ha di lui. “Pasci i miei agnelli” Con questa solenne dichiarazione il Salvatore affida a Pietro l’autorità suprema sull’intero suo gregge. “Mi ami tu?” Anche se nella seconda e terza domanda vengono tralasciate le parole: “più di costoro” mantengono la stessa forza della prima e Pietro alla seconda domanda risponde con la stessa forza e convinzione della prima, mentre Gesù gli dice: “Pasci le mie pecorelle”. Il termine pecorelle, qui usato, non ha nessuna incidenza sul senso delle dichiarazioni di Cristo; le tre proposizioni imperative di Gesù Risorto ripetono solo la stessa consegna del Salvatore, perciò non bisogna pensare che gli agnelli designano gli apostoli, le pecorelle i semplici fedeli. Similmente il fatto che Gesù interroga Pietro con l’appellativo di “Simone di Giovanni”, non ha nessun significato particolare se non ricordare il primo incontro di Pietro con Gesù, quando Questi vedendolo: fissò lo sguardo su di lui.
   Certo nel porre a Pietro le tre domande, Gesù lo sta fissando con la stessa intensità di quel giorno. E, vinto da quello sguardo, alla terza domanda si arrende mostrandosi addolorato. L’apostolo avverte l’intenzione recondita che ha Cristo nel rivolgergli per la terza volta la stessa domanda;  infatti Gesù dopo che Pietro lo ha rinnegato tre volte, nonostante le ferme proteste di fedeltà, vuole quasi metterlo alla prova inducendolo a dichiarare ancora un’ultima volta e in modo più consapevole ed incondizionata la  sua fedeltà a Lui. “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti amo”. Pietro con questa sua risposta si appella alla onniscienza di Cristo (“tu conosci tutto”) e alla sua esperienza (“tu sai che ti amo”). E Gesù: “Pasci le mie pecorelle”.  Secondo Giovanni con questa espressione Gesù conferisce a Pietro il governo delle anime, mentre dall’intero colloquio con Pietro, in presenza degli altri apostoli, si evince che Gesù gli conferisce il primato di autorità sulla chiesa universale.
La tradizione della chiesa, poi confermata dal Concilio Vaticano I, ritiene che con queste parole Gesù ha conferito a Pietro la suprema giurisdizione di pastore  e di guida dell’intero suo gregge.