IL
GREGGE E L’OVILE
(Gv 10,1-16)
Per cogliere più a fondo il mistero
della Chiesa, i Padri conciliari, nella Lumen Gentium*, hanno fatto uso del
linguaggio delle immagini, recuperando il ricco patrimonio del simbolismo
ecclesiologico disseminato nella rivelazione biblica.
La Chiesa – leggiamo
nella Lumen Gentium (n.6) - è un ovile, la cui porta unica e necessaria è
Cristo. E’ pure un gregge, di cui Dio stesso ha preannunziato che ne sarebbe il pastore.
Queste due immagini bibliche -
l’ovile e il gregge - rivelano “l’intima
natura della Chiesa”.
Gesù,
come riferisce l’evangelista Giovanni al cap. 10, le ha illustrate a fondo
presentandosi come il buon Pastore che custodisce cura e nutre il suo gregge e che
addirittura dà la vita per esso.
Certo,
per l’antico popolo d’Israele, discendente da aramei erranti nel deserto (Deuteronomio*
cap. 26 vers. 5), era molto familiare l’immagine del gregge per indicare il
popolo che Dio si è scelto.
Il
profeta Isaia* aveva considerato Dio come un pastore che fa pascolare il suo
gregge, e con il suo braccio lo raduna (cap. 40 vers.11).
Ezechiele* (cap. 34), rimproverando i
pastori d’Israele che si nutrivano di latte, si rivestivano di lana e
ammazzavano le pecore più grasse, ha preannunciato che Dio stesso si sarebbe
ripreso il gregge e avrebbe fatto da pastore al suo popolo.
Oggi queste immagini sono meno
immediate perché di greggi al pascolo se ne vedono ormai pochi rispetto al passato,
quando, anche tra la gente di
Calabria, c’erano molti pastori che guidavano le pecore su e giù per le
montagne dell’Aspromonte. Solo se ci si addentra nell’entroterra,
raggiungendo qualche contrada lontana è
ancora possibile familiarizzare con la vita del pastore che tenacemente “raduna
il suo gregge con il braccio; porta gli agnellini sul petto e conduce pian
piano le pecore madri” (Is 40,11).
Cerchiamo
dunque di recuperare i colori di queste immagini pastorali, gustando la
bellezza suggestiva dell’ambiente biblico.
Lo facciamo a partire da questa
affermazione di Gesù: “Io sono la porta dell’ovile”.
Perché proprio
“la porta”?
In
Palestina, ai tempi di Gesù, solitamente il pastore radunava le pecore in una
caverna poco profonda che poteva offrire sicurezza per la notte e spesso
ostruiva l’apertura con un muricciolo munito di porta.
Prevalentemente,
però, costruiva un muretto di sassi e lui stesso si sdraiava lungo l’apertura
fungendo da porta per le pecore. Solo il pastore poteva consentire l’accesso
all’ovile, perché egli, stendendosi lungo quella porta, consentiva alle pecore
di sentire il suo profumo e entrare nel proprio ovile calpestando il suo corpo.
I ladri e i briganti invece scavalcavano il muro, uccidevano quante più pecore
potevano prima di essere scoperti e le gettavano fuori dell’ovile ai complici.
Talvolta
invece i pastori si occupavano del gregge solo durante il giorno. Con il
sopraggiungere della notte, portavano le loro pecore in un grande ovile o in un
recinto comunitario, ben protetto contro banditi e lupi. E un guardiano
vigilava per tutta la notte. Al mattino
poi, quando giungeva il pastore, batteva il palmo delle mani sulla porta ed il
guardiano apriva. Chiamate per nome, le pecore riconoscevano la voce del loro
pastore, si alzavano e uscivano dietro di lui verso i pascoli. Le pecore degli
altri pastori udivano la voce, ma rimanevano come erano, perché quella voce non
era da loro conosciuta.
Comprendiamo bene ora il senso di
queste similitudini. Soprattutto la porta a cui allude Gesù risulta più di un
semplice varco attraverso cui entrare e uscire. Ma approfondiremo il senso di
queste metafore dopo aver letto il testo di Giovanni Evangelista ( cap 10 vers
dall’1 al 16):
1«In verità, in verità vi dico: chi
non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte,
è un ladro e un brigante. 2Chi
invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le
pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le
conduce fuori. 4E
quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le
pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da
lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono
che cosa significava ciò che diceva loro. 7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi
dico: Io sono la porta
delle pecore.
8Tutti coloro che sono
venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati.
9Io sono la porta: se
uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per
rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e
l'abbiano in abbondanza. 11Io sono il buon pastore. Il
buon pastore offre la vita per le pecore. 12Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le
pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il
lupo le rapisce e le disperde; 13egli
è un mercenario e non gli importa delle pecore. 14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie
pecore conoscono me, 15come
il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non sono
di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e
diventeranno un solo gregge e un solo pastore».
Innanzi tutto
contestualizziamo il brano (testo).
L’evangelista ha appena raccontato (contesto)
la guarigione cieco nato che era stato espulso dalla sinagoga per la sua
confessione di fede sul Messia. Poteva dunque apparire come una pecora
sbandata, senza pastore né gregge, tagliato fuori dalla comunità giudaica,
scomunicato per la sua fede.
E invece no! - sembra voler
puntualizzare Gesù - Chi crede in me entra nell’ovile di Dio attraverso la
porta di salvezza e in esso trova la vera vita. “Io sono la porta” –
ribadisce, riferendosi al suo essere mediatore del loro “entrare e uscire”, che
nel linguaggio semitico indica la pienezza della comunione con il
Pastore.
Fuor
di metafora, l'ovile è la comunità dei credenti in Cristo. E’ la Chiesa. E il gregge siamo noi,
popolo di Dio, raccolti in unità attorno al Pastore supremo. L’ovile
raccoglie, custodisce, preserva dal male, soprattutto nella notte, quando il
buio diventa complice di chi vuol fare razzia. Così la Chiesa , vivificata dallo
Spirito, contagiata dall’urgenza della stessa carità di Cristo. In unità,
nell’unico gregge, per pregustare la mediazione salvifica di Cristo, Pastore
buono. “Se davvero l’amore riesce ad eliminare la paura e questa si trasforma
in amore – dice Gregorio di Nissa - , allora si scoprirà che ciò che salva è
proprio l’unità. La salvezza sta infatti nel sentirsi tutti fusi nell’amore
dell’unico e vero bene”.
Dunque, unità nell’amore. Che si realizza in quell’«entrare e
uscire» di sapore semitico in cui si assapora la comunione piena con Dio e tra
noi, “perché il mondo creda” in Cristo Gesù Salvatore (cfr. Gv 17,21).
Chiediamoci ora: qual è la
caratteristica di questo gregge di Dio? “Le pecore ascoltano la sua voce” (v. 3),
“le mie pecore conoscono me” (v.14). Ecco: l’ascolto
e la conoscenza. Ossia la docilità e la familiarità con il Pastore, che
scaturisce dal sentirsi chiamare per nome, dal fare esperienza della Sua Parola
e della Sua Presenza. Per noi, la familiarità con le Scritture e i Sacramenti. La Parola infatti “è un dono,
un appello, mediante il quale Dio “nel suo grande amore parla agli uomini come
ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione
con sé” (Dei Verbum*: 2). E i Sacramenti “sono tutti una diversa espressione e
partecipazione all’unico mistero della morte e risurrezione del Signore”.
Infine, la metafora della porta, che
abbiamo ben assimilato attraverso la feritoia aperta sull’ambiente biblico.
Gesù è la porta, abbiamo detto. Dunque l’accesso “obbligato” per mettersi in
comunione con il Padre e con il gregge. Però, attenti: nel linguaggio biblico
la porta non indica solo un luogo di passaggio, ma spesso sta a significare la
città o il tempio nel suo insieme (cfr. sal. 87 e sal. 122,2). Quindi Gesù è
“luogo” di salvezza, non semplicemente “via”. La porta allora riconduce e richiama
il mistero pasquale: “io offro la vita per le pecore” (v.15) – dice Gesù. Un
“offrire” che, tradotto letteralmente, significa: “deporre l’anima a favore di
qualcuno”, cioè spingersi al sacrificio supremo per salvare un amico. E si
tratta di un’offerta, come esprime lo stesso verbo “deporre”, fatta con estrema
libertà, per amore, e nella possibilità di privarsene e riprenderla, perché
Gesù è il Signore della vita e della morte.
Ecco cosa ci è dato di gustare nella
Chiesa di Dio!
La bellezza-bontà di un amore che ci
raccoglie in unità, si spalanca alla conoscenza di sé, che è intimità profonda,
e si offre a noi deponendo la sua divinità per restituirci la nostra dignità di
figli. Amen.
Note
*”Lumen
Gentium”:
“Costituzione sulla Chiesa”
*”Dei Verbum” : “Costituzione sulla Divina
Rivelazione”
Due dei quattro documenti basilari del Concilio
Vaticano II
Altri
*”Sacrosanctum Concilium”: “Costituzione sulla Sacra Liturgia”
*”Gadudium et Spes”: “Costituzione sulla Chiesa nel
mondo contemporaneo”
*”Deuteronomio” insieme a
“Genesi”, “Esodo”, “Levitico”, “Numeri” costituiscono
Il “Pentateuco”: questi sono
i primi 5 libri dell’ “Antico Testamento”.
Seguono: 16 “Libri Storici” ; 7
“Libri Sapienziali”; 18 “Libri Profetici” perciò l’”Antico Testamento” complessivamente ha un totale di 46 libri.
*”Isaia” e *”Ezechiele” Sono due dei più incisivi Profeti.
Il
“Nuovo Testamento” complessivamente ha un totale di 27 libri
4 Vangeli: Matteo, Luca, Marco, Giovanni
1 Atti degli Apostoli
13 Lettere di Paolo: Romani, 1Corinzi, 2Corinzi, Galati,
Efesini, Filippesi,
Colossesi, 1Tessalonicesi,
2Tessalonicesi, 1Timoteo,
2Timoteo,Tito, Filemone
1 Lettera agli Ebrei
1 Lettera di Giacomo
2 Lettere di Pietro: 1Pietro, 2Pietro
3 Lettere di Giovanni: 1Giovanni, 2Giovanni, 3Giovanni
1 Lettera di Giuda
1 Apocalisse di Giovanni
La
“Bibbia” complessivamente ha un totale
di 73 libri