domenica 9 dicembre 2018


IL GREGGE E L’OVILE
(Gv 10,1-16)
               Per cogliere più a fondo il mistero della Chiesa, i Padri conciliari, nella Lumen Gentium*, hanno fatto uso del linguaggio delle immagini, recuperando il ricco patrimonio del simbolismo ecclesiologico disseminato nella rivelazione biblica. 
           La Chiesa – leggiamo nella Lumen Gentium (n.6) - è un ovile, la cui porta unica e necessaria è Cristo. E’ pure un gregge, di cui Dio stesso ha preannunziato che ne sarebbe il pastore.
          Queste due immagini bibliche - l’ovile e il gregge  - rivelano “l’intima natura della Chiesa”.
Gesù, come riferisce l’evangelista Giovanni al cap. 10, le ha illustrate a fondo presentandosi come il buon Pastore che custodisce cura e nutre il suo gregge e che addirittura  dà la vita per esso.
Certo, per l’antico popolo d’Israele, discendente da aramei erranti nel deserto (Deuteronomio* cap. 26 vers. 5), era molto familiare l’immagine del gregge per indicare il popolo che Dio si è scelto.
Il profeta Isaia* aveva considerato Dio come un pastore che fa pascolare il suo gregge, e con il suo braccio lo raduna (cap. 40 vers.11).
Ezechiele* (cap. 34), rimproverando i pastori d’Israele che si nutrivano di latte, si rivestivano di lana e ammazzavano le pecore più grasse, ha preannunciato che Dio stesso si sarebbe ripreso il gregge e avrebbe fatto da pastore al suo popolo.
          Oggi queste immagini sono meno immediate perché di greggi al pascolo se ne vedono ormai pochi rispetto al passato, quando, anche tra la gente di Calabria, c’erano molti pastori che guidavano le pecore su e giù per le montagne dell’Aspromonte. Solo se ci si addentra nell’entroterra, raggiungendo qualche contrada lontana è ancora possibile familiarizzare con la vita del pastore che tenacemente “raduna il suo gregge con il braccio; porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano le pecore madri” (Is 40,11).
           Cerchiamo dunque di recuperare i colori di queste immagini pastorali, gustando la bellezza suggestiva dell’ambiente biblico.
            Lo facciamo a partire da questa affermazione di Gesù: “Io sono la porta dell’ovile”.
            Perché proprio “la porta”?
In Palestina, ai tempi di Gesù, solitamente il pastore radunava le pecore in una caverna poco profonda che poteva offrire sicurezza per la notte e spesso ostruiva l’apertura con un muricciolo munito di porta.
Prevalentemente, però, costruiva un muretto di sassi  e lui stesso si sdraiava lungo l’apertura fungendo da porta per le pecore. Solo il pastore poteva consentire l’accesso all’ovile, perché egli, stendendosi lungo quella porta, consentiva alle pecore di sentire il suo profumo e entrare nel proprio ovile calpestando il suo corpo. I ladri e i briganti invece scavalcavano il muro, uccidevano quante più pecore potevano prima di essere scoperti e le gettavano fuori dell’ovile ai complici.
Talvolta invece i pastori si occupavano del gregge solo durante il giorno. Con il sopraggiungere della notte, portavano le loro pecore in un grande ovile o in un recinto comunitario, ben protetto contro banditi e lupi. E un guardiano vigilava per tutta la notte. Al mattino poi, quando giungeva il pastore, batteva il palmo delle mani sulla porta ed il guardiano apriva. Chiamate per nome, le pecore riconoscevano la voce del loro pastore, si alzavano e uscivano dietro di lui verso i pascoli. Le pecore degli altri pastori udivano la voce, ma rimanevano come erano, perché quella voce non era da loro conosciuta.
         Comprendiamo bene ora il senso di queste similitudini. Soprattutto la porta a cui allude Gesù risulta più di un semplice varco attraverso cui entrare e uscire. Ma approfondiremo il senso di queste metafore dopo aver letto il testo di Giovanni Evangelista ( cap 10 vers dall’1 al 16):
              1«In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. 4E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro. 7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: Io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.  11Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. 12Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; 13egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. 14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore».
           Innanzi tutto contestualizziamo il brano (testo). L’evangelista ha appena raccontato (contesto) la guarigione cieco nato che era stato espulso dalla sinagoga per la sua confessione di fede sul Messia. Poteva dunque apparire come una pecora sbandata, senza pastore né gregge, tagliato fuori dalla comunità giudaica, scomunicato per la sua fede.
         E invece no! - sembra voler puntualizzare Gesù - Chi crede in me entra nell’ovile di Dio attraverso la porta di salvezza e in esso trova la vera vita. “Io sono la porta” – ribadisce, riferendosi al suo essere mediatore del loro “entrare e uscire”, che nel linguaggio semitico indica  la pienezza della comunione con il Pastore.
Fuor di metafora, l'ovile è la comunità dei credenti in Cristo. E’ la Chiesa. E il gregge siamo noi, popolo di Dio, raccolti in unità attorno al Pastore supremo. L’ovile raccoglie, custodisce, preserva dal male, soprattutto nella notte, quando il buio diventa complice di chi vuol fare razzia. Così la Chiesa, vivificata dallo Spirito, contagiata dall’urgenza della stessa carità di Cristo. In unità, nell’unico gregge, per pregustare la mediazione salvifica di Cristo, Pastore buono. “Se davvero l’amore riesce ad eliminare la paura e questa si trasforma in amore – dice Gregorio di Nissa - , allora si scoprirà che ciò che salva è proprio l’unità. La salvezza sta infatti nel sentirsi tutti fusi nell’amore dell’unico e vero bene”.
          Dunque, unità nell’amore. Che si realizza in quell’«entrare e uscire» di sapore semitico in cui si assapora la comunione piena con Dio e tra noi, “perché il mondo creda” in Cristo Gesù Salvatore (cfr. Gv 17,21).
           Chiediamoci ora: qual è la caratteristica di questo gregge di Dio? “Le pecore ascoltano la sua voce” (v. 3), “le mie pecore conoscono me” (v.14). Ecco: l’ascolto e la conoscenza. Ossia la docilità e la familiarità con il Pastore, che scaturisce dal sentirsi chiamare per nome, dal fare esperienza della Sua Parola e della Sua Presenza. Per noi, la familiarità con le Scritture e i Sacramenti. La Parola infatti “è un dono, un appello, mediante il quale Dio “nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé” (Dei Verbum*: 2). E i Sacramenti “sono tutti una diversa espressione e partecipazione all’unico mistero della morte e risurrezione del Signore”.
          Infine, la metafora della porta, che abbiamo ben assimilato attraverso la feritoia aperta sull’ambiente biblico. Gesù è la porta, abbiamo detto. Dunque l’accesso “obbligato” per mettersi in comunione con il Padre e con il gregge. Però, attenti: nel linguaggio biblico la porta non indica solo un luogo di passaggio, ma spesso sta a significare la città o il tempio nel suo insieme (cfr. sal. 87 e sal. 122,2). Quindi Gesù è “luogo” di salvezza, non semplicemente “via”. La porta allora riconduce e richiama il mistero pasquale: “io offro la vita per le pecore” (v.15) – dice Gesù. Un “offrire” che, tradotto letteralmente, significa: “deporre l’anima a favore di qualcuno”, cioè spingersi al sacrificio supremo per salvare un amico. E si tratta di un’offerta, come esprime lo stesso verbo “deporre”, fatta con estrema libertà, per amore, e nella possibilità di privarsene e riprenderla, perché Gesù è il Signore della vita e della morte.
           Ecco cosa ci è dato di gustare nella Chiesa di Dio!
          La bellezza-bontà di un amore che ci raccoglie in unità, si spalanca alla conoscenza di sé, che è intimità profonda, e si offre a noi deponendo la sua divinità per restituirci la nostra dignità di figli. Amen.

Note
*”Lumen Gentium”:   
                                                  “Costituzione sulla Chiesa”                               
*”Dei Verbum” :                      “Costituzione sulla Divina Rivelazione” 
Due dei quattro documenti basilari del Concilio Vaticano II    
 Altri
*”Sacrosanctum Concilium”:  “Costituzione sulla Sacra Liturgia”
*”Gadudium et Spes”:             “Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo”    

*”Deuteronomio”  insieme a  “Genesi”, “Esodo”, “Levitico”, “Numeri” costituiscono
                          Il “Pentateuco”: questi sono i primi 5 libri dell’ “Antico Testamento”.
Seguono: 16 “Libri Storici” ; 7 “Libri Sapienziali”; 18 “Libri Profetici” perciò l’”Antico Testamento” complessivamente ha  un totale di 46 libri.
*”Isaia”  e  *”Ezechiele”  Sono due dei più incisivi Profeti.   

Il “Nuovo Testamento” complessivamente ha un totale di 27 libri
4 Vangeli:                      Matteo, Luca, Marco, Giovanni
1 Atti degli Apostoli
13 Lettere di Paolo:       Romani, 1Corinzi, 2Corinzi, Galati, Efesini, Filippesi,
                                       Colossesi, 1Tessalonicesi, 2Tessalonicesi, 1Timoteo,
                                       2Timoteo,Tito, Filemone
1 Lettera agli Ebrei
1 Lettera di Giacomo
2 Lettere di Pietro:          1Pietro, 2Pietro
3 Lettere di Giovanni:     1Giovanni, 2Giovanni, 3Giovanni
1 Lettera di Giuda
1 Apocalisse di Giovanni  

La “Bibbia”  complessivamente ha un totale di 73 libri                                    


BARTIMEO
il figlio di Timeo

      “”E giunsero a Gerico. E mentre partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c’era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!” Allora Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. E Chiamarono il cieco dicendogli: “Coraggio! Alzati, ti chiama!” Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: “Che vuoi che io ti faccia?” E il cieco a lui: “Rabbunì, che io riabbia la vista!” E Gesù gli disse: “Và, la tua fede ti ha salvato”. E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.”” ( Mc 10,46-52)
         
          Gesù è sempre alla ricerca dell’amato suo e del Padre.
La sua strategia è propria di chi ama perdutamente.
L’aspetta “al varco”, come alla Samaritana. A Bartimeo lo cerca, come per caso, avviandosi sulla via dove il cieco chiede l’elemosina,
Con la Samaritana prepara il piano: vuole restare solo, solo senza alcun testimone, perciò manda i discepoli a fare delle spese. Dopo averle chiesto dell’acqua, la provoca in una disputa teologica per poi rivelarsi: “il Messia”.
Resterà unica, una prostituta, a ricevere la rivelazione della sua vera identità: “Sono io che ti parlo”.                  
Con Bartimeo non c’è un dialogo teologico, c’è la ricerca di quell’ uomo solo, solo senza il padre Timeo, Gesù vuole dargli quel padre assente, vuole dargli l’amore del vero Padre, l’amore suo e quello di suo Padre.
Bartimeo appena realizza che è Gesù Nazzareno quello che predica a molta folla, comincia a gridare: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me”. Più la folla vuole azzittirlo per non disturbare la predicazione di Gesù, più egli grida il suo dolore, ma Gesù era lì per cercare lui.
L’evangelista è sintetico e lapidario, Gesù non chiede alla folla chi è costui che grida ma : ““Si fermò e disse: “Chiamatelo!” Ben sapeva chi era e cosa volesse. La folla, alla richiesta di Gesù, ora sollecita il cieco: “Coraggio! Alzati ti chiama!”.
Contempliamo l’asciutta descrizione di Marco: “Egli, gettato via il mantello , balzò in piedi   e   venne da Gesù”.
In quel tempo, per un povero cieco o per tanta povera gente, il mantello era il compagno del suo corpo: un giaciglio per dormire, una coperta per coprirsi, un mantello per ripararsi dal freddo. Ebbene il cieco lo getta via, l’unica cosa preziosa che ha, “la getta via”. E se Gesù non l’avesse guarito e la folla andata via, chi gli avrebbe cercato, raccolto e ridato il suo mantello a Bartimeo?
Bartimeo non si alzò ma spiccò un salto per slanciarsi verso una direzione, verso Gesù, guidato dal suo istinto verso chi lo cercava; sono certo che insieme alle gambe, anche il cuore gli sobbalzò nel petto. “Balzò in piedi”. 
Venne da Gesù, Marco dà per scontato che Bartimeo con quello slancio è già di fronte a Gesù, Lo sguardo non è identico, mentre Gesù avvolge col suo l’amato cieco, Bartimeo aspetta ansioso che i suoi occhi possano finalmente vedere il volto, gli occhi di Gesù, vedere l’intensità dell’amore di Gesù, proprio per lui.
Allora Gesù: “Che vuoi che io ti faccia?” Gesù gli pone la domanda scontata, infatti il cieco a lui: “Rabbunì, che io riabbia la vista!”. Altrettanto scontata la risposta di Bartimeo.
Nessun commento se non ammirare l’incontro faccia a faccia tra l’amante e l’amato. Non ci sono parole per esaltare l’incontro, solo chiudere i nostri occhi ed immaginare la forza, la potenza, l’energia del momento: Gesù è impaziente: “Chiamatelo d’avvolgere col suo amore Bartimeo, l’amato e l’altro impaziente di vedere con i suoi occhi il Nazareno, il Figlio di Davide, Gesù il Salvatore.
Marco ancora sintetico ma avvolgente, perché non ci dice solo che Gesù ridona la vista al cieco ma ci dice che Gesù amò Bartimeo, come l’amore sa fare, dare tutto fino al donarsi per amore: “”E Gesù gli disse: “Và, la tua fede ti ha salvato”.
Gesù allora oltre alla vista, oltre e guarirlo ha rassicurato Bartimeo che è stato sanato non solo fisicamente ma salvato, l’ha mondato pure da ogni suo peccato.
Cosa poteva fare Bartimeo se non seguire Gesù. Allora: “Prese a seguirlo per la strada”.  
Vorrei essere col cieco, nel cieco e gridarti: “Figlio di Davide, Gesù abbi pietà di me” e con lui: “gettare il mantello, balzare in piedi, venire a te per sentire l’intensità del tuo infinito amore e sentirmi dire: “Va, la tua fede ti ha salvato”.