giovedì 18 ottobre 2018

PENTECOSTE


PENTECOSTE 
       
          La Pentecoste presso gli Ebrei era la festa della mietitura (Es 23,14), successivamente divenuta anche festa della rinnovazione dell’Alleanza  (2Cr 15,10-13).
Pentecoste a noi ci ricorda la fondazione della Chiesa come realtà viva; Cristo l’ha preparata: Lo Spirito Santo viene a prenderne possesso, ad animarla e  ad assisterla con i suoi carismi. Pentecoste è la festa della nascita della comunità dei credenti.
La sera di Pentecoste, mentre gli Apostoli con Maria erano riuniti nel Cenacolo di Gerusalemme, come aveva promesso Gesù, ricevettero il Battesimo nello Spirito: “Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatté gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue, come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi” (At 2, 2-4)              
Quella Pentecoste, conferendo nuova forza, ardente zelo e tanta passione per il Risorto, diede inizio, con il veemente annuncio di Pietro, alla missione della chiesa; quella comunità cristiana, sfidando ogni pericolo, inizia a dare compimento al comando di Gesù: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16, 15). Quel primo annuncio, perciò, prelude la predicazione a tutte le genti, poiché quelli che ascoltavano Pietro, con una numerazione simbolica, cittadini di 12 nazioni, rappresentavano tutta la famiglia umana.
È qui il Carisma, il miracolo di Pentecoste, in uno dei suoi aspetti: Pietro parla nella sua lingua e cittadini di 12 nazioni lo sentono parlare nella propria lingua, non è la glossolalia di cui parla Paolo.
Di Quella Pentecoste,  ci è difficile immaginare quel momento stupefacente in cui ognuno dei presenti fece esperienza straordinaria col Divino; la grazia di Dio, dopo quella esperienza, non li abbandonerà e non ci abbandonerà mai più, a conferma delle parole di Gesù: “Sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).
Dopo la sua Risurrezione Gesù per 40 giorni confortò con la sua presenza gli Apostoli timorosi e delusi, rincuorati essi fecero un’esperienza nuova: quella col Risorto. Il primo colloquio con Gesù Risorto lo ebbe Maria di Magdala che cercava presso il sepolcro il Suo Gesù ed Egli rassicurandola le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma và dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre Mio e Padre Vostro, Dio Mio e Dio Vostro(Gv 20,17).
Certo Maria Gli aveva abbracciato le gambe, temendo di perderlo ancora.   Quale conforto più grande di questo poteva darle Gesù:
Il mio, d’ora in poi, è il Vostro!
La certezza delle presenza di Gesù tra loro accompagnava la preghiera della comunità dei credenti, Nuovo Popolo di Dio: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2, 42), lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo” (At 2,47) .
L’esperienza  Pentecostale continua. A garanzia che Gesù, da allora e per sempre, è con loro ed è e sarà con noi. Luca negli Atti degli Apostoli ci racconta che dopo pochi giorni assaporano ancora il medesimo gusto dello Spirito: “Quand’ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono ripieni di Spirito Santo e annunziavano la parola di Dio con franchezza” (At 4, 31).
Dalla Pentecoste in poi lo Spirito Santo è una presenza costante nella comunità dei credenti in Gerusalemme e tra i pagani, a significare che il sacrificio di Gesù si era consumato per tutta l’umanità e per sempre. Infatti il libro degli Atti degli Apostoli ci fa assistere ad altre manifestazione della Pentecoste fuori Gerusalemme e tra i pagani.
IN SAMARIA: “Frattanto gli apostoli a Gerusalemme, seppero che la Samaria aveva accolto la parola di Dio e vi inviarono Pietro e Giovanni. Allora imposero loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo. (At  8, 14; 17).
A CESAREA, in casa del centurione romano Cornelio, Pietro reca la buona novella: Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo. scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso(At 10, 44 e 11, 15 ).
AD EFESO si ripeté la stessa manifestazione Pentecostale alla presenza di Paolo:  E non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, scese su di loro lo Spirito Santo.”(At 19,6)
         Ma l’Ascensione di Gesù, sotto gli occhi degli apostoli, pare davvero la conclusione di un evento stupendo, ma oramai esaurito: “… fu  elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo” (At 1, 9). La Nube E’ il segno della presenza di Dio, la nube che coprì il popolo d’Israele nel deserto (Es 40, 36-38). è la stessa ombra che l’Angelo Gabriele annuncia a Maria: ”Su di te stenderà la sua Ombra la Potenza dell’Altissimo” (Lc 1,25).     
L’Ascensione ricongiunge la terra al cielo, il mondo degli uomini al mondo di Dio, perciò Dio non è più al di fuori dell’esistenza e della storia umana, poiché in Gesù l’uomo accede alla Signoria, al mondo di Dio, al mondo dello Spirito Santo che Gesù riceve dal Padre e che unito al Padre lo dona all’uomo; perciò la Pentecoste è l’inizio del tempo futuro, il tempo dello Spirito, che non resta dentro i cuori degli apostoli ed in quella comunità, ma si manifesta a noi, trabocca, effonde per farci diventare comunità profetica, spirituale e missionaria.
         Pentecoste, nella chiesa e nei credenti, da quella prima manifestazione dello Spirito Santo è costante, perché Gesù donando il suo Spirito agli Apostoli e a noi per mezzo di loro, ha realizzato la sua promessa di essere con noi tutti i giorni:
Fino alla fine del mondo”.
Se l’effervescenza e la gioia dell’annuncio della parola di Dio e delle opere di Gesù gustate dalla prime comunità cristiane OGGI non si percepiscono e non si assaporano più, è perché siamo cristiani anagrafici e tiepidi, non già perché non aleggia lo Spirito Santo. come nelle prime comunità, ma perché non siamo “né caldi né freddi” (Ap 3,15).
Lo Spirito di Dio ha accompagnato ed accompagna sempre la sua chiesa, ne sono testimoni carismatici i Santi, che animati dallo Spirito Santo, hanno vivacizzato la chiesa: da S. Agostino a S. Francesco, da Padre Pio a Madre Teresa di Calcutta.
Ma le manifestazione più eclatanti, efficaci e guaritrici e che ci garantiscono la certezza della presenza costante dello Spirito Santo: sono quelle che si ripetono ogni giorno in tutte le chiese del mondo, quando si rinnova la morte e la risurrezione di Gesù, quando lo Spirito Santo trasforma le specie offerte in sangue e corpo di Gesù.     L’essenza del Padre e del Figlio: Lo Spirito Santo è certo in mezzo a noi perciò: “Lasciamoci riconciliare con Dio” (2Cor 5,20) per continuare l’opera iniziata per Gesù dagli Apostoli: “Come il Padre ha mandato me anch’io mando Voi” (Gv 20,21).

A conclusione vi prego: quando ci accostiamo a ricevere Gesù Eucaristico avviamoci  con la certezza di incontrare Gesù vivo non già solo un’ostia, vi prego. 

IL BUON SAMARITANO


IL BUON SAMARITANO

Dal Vangelo secondo Luca 10,25-37
 In quel tempo, un dottore della legge si alzò per mettere alla prova Gesù: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso» E Gesù: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi caricatolo sopra il suo giumento, lo portò auna locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso».

La parabola del buon Samaritano è un vero gioiello, che il solo Luca riporta inserendola nel contesto di un colloquio tra Gesù e un “dottore della legge” circa la possibilità di “ereditare la vita eterna”. Alla domanda (probabilmente tendenziosa) del “dottore”, il Rabbi di Nazareth risponde proponendo un’altra domanda (Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?), la cui risposta per un buon ebreo, e in particolare per un “dottore della legge”, non poteva essere che il rispetto del primo e del secondo comandamento (Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso), che nella migliore tradizione giudaica sono spesso uniti in un’unica realtà. Per il popolo semita, però, come si legge nell’Antico Testamento, il “prossimo” era circoscritto ai soli appartenenti alla comunità israelitica, e al tempo di Gesù il termine aveva un significato ancora più restrittivo, limitandolo esclusivamente a chi faceva parte del medesimo gruppo religioso o politico (Farisei, Esseni, Zeloti, Erodiani, ecc.); una restrizione “razzista” che, tra l’altro, non rendeva molto facile l’osservanza del secondo comandamento. Non è quindi irragionevole l’altra domanda del “dottore” (E chi è il mio prossimo?), che egli pone volendosi quasi giustificare, stimolando Gesù a denunciare tale mentalità egoistica con una parabola (del buon Samaritano), che allarga all’infinito il comandamento dell’amore estendendolo anche alle persone ostili.  Quindi, l’accostamento dei personaggi fatto da Gesù (un Samaritano che soccorre un Giudeo) significa che per un vero cristiano il prossimo è universale e ha per orizzonte non la cerchia familiare, etnica o religiosa, ma l’uomo per se stesso.
La parabola è veramente un capolavoro di creatività ed è ricca di sorprese e di passaggi espressivi e polemici molto belli. Alcuni studiosi pensano che Gesù si riferisca a un avvenimento di cronaca realmente accaduto, quando racconta di come un uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico sia stato assalito dai briganti e lasciato mezzo morto ai bordi della strada; in realtà tale percorso, con un dislivello di oltre 1000 metri, attraversa (ancora oggi) una zona desertica piena di anfratti, che era sicuramente molto pericolosa per la probabile presenza di predoni e assassini (come gli Zeloti), i quali potevano facilmente nascondersi e compiere improvvisi e rapidi gesti banditeschi. A questo punto della parabola Gesù inserisce tre personaggi molto particolari, che passando vicino al moribondo potevano prestare il loro aiuto. I primi due (un sacerdote e un levita), proprio per il servizio religioso che svolgevano, dovevano essere i più indicati a compiere un gesto di carità verso il prossimo, e invece lo “videro” e “passarono oltre”, probabilmente ritenendo più importante il rispetto delle norme della purità rituale che vietava di profanarsi con il sangue prima di un rito religioso. Ma poiché scendevano da Gerusalemme a Gericvo, dove abitavano, avevano finito il loro servizio.   Il terzo personaggio è un Samaritano, un forestiero mal visto dal popolo della Giudea per questioni politiche e religiose. Per questo sarebbe stata normale la sua indifferenza a un avvenimento che avrebbe potuto anche coinvolgerlo in possibili sospetti e recriminazioni; egli, invece, si china sul ferito, gli presta i primi soccorsi fasciandogli le ferite e disinfettandole con vino e olio, e poi lo porta in una locanda (in greco “tutti accoglie”), dove s’impegna con l’albergatore ad aiutarlo anche per il futuro (Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno).
In questo “gioco delle parti” è evidente l’intenzione “polemica” di Gesù nell’attribuire ai tre personaggi atteggiamenti così contrastanti; egli, in particolare, denuncia il formalismo liturgico e il culto “sterile” che non aiuta a vedere Dio nei fratelli (non è sufficiente credere in Dio per salvarsi se non si crede anche nell’uomo creato “a immagine di Dio”). La colpa del sacerdote e del levita è di non vedere lo stretto e indispensabile rapporto che unisce i due comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo, mentre il Samaritano, forestiero ed eretico per i Giudei, compie quei gesti di benevolenza da essere di esempio per ogni credente. È su questa realtà, infatti, che termina la parabola (Chi di questi tre ti sembra che sia stato prossimo di colui che è incappato nei briganti ?), che mette con “le spalle al muro” il “dottore della legge” costretto ad affermare: “Chi ha avuto compassione di lui”. È espressivo come Gesù dalla domanda iniziale del “dottore” (Chi è il mio prossimo?) contrapponga ora, al termine della parabola, un’altra domanda (Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?…Va’ e anche tu fa’ lo stesso), ricordando che non è sufficiente scoprire chi è il nostro prossimo (la parabola lo dice chiaramente), ma “dimostrarsi prossimo” verso chi ha bisogno nella realtà di ogni momento.
Il sacerdote e il levita incarnano la rigida sacralità che separa dal prossimo, mentre il Samaritano rappresenta la “santità” che si unisce al dolore per salvarlo. È per questo che alcuni studiosi vedono nel ritratto del Samaritano l’immagine stessa di Cristo; un’interpretazione legata anche alla tradizione delle origini, tanto che sulle mura di un edificio crociato diroccato, presente sulla stessa strada che porta da Gerusalemme a Gerico, è chiamato liberamente “il caravanserraglio del Buon Samaritano”, un anonimo pellegrino medievale ha inciso in latino questo graffito: “Se persino sacerdoti o Leviti passano oltre la tua angoscia, sappi che Cristo è il Buon Samaritano che avrà sempre compassione di te e nell’ora della tua morte ti porterà alla locanda eterna. In questa stupenda parabola appare in tutto il suo splendore il messaggio cristiano, che già Gesù afferma nel famoso Discorso della Montagna presente nel Vangelo di Matteo (Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori), ripreso anche da Giovanni nel “testamento” dell’Ultima Cena (Vi do un comandamento nuovo: Amatevi gli uni gli altri; come io vi ho amato, così anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo tutti vi riconosceranno come miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri). La parabola riassume una storia e un’esperienza di amore infinito, tuttora attuale perché è la storia di Cristo, che si è fatto Samaritano misericordioso per perdonare ogni essere umano. Nel racconto lucano, infatti, c’è un uomo abbandonato sul ciglio della strada, spogliato dei suoi averi, sfigurato dalle percosse. Non c’è in lui niente che può attirare lo sguardo dei passanti; c’è solo un corpo pieno di lividi, un volto deformato dalle percosse, una persona derubata di tutto quello che aveva. L’incontro con una simile persona non è una promessa di gioia, ma un peso da sollevare e una fatica da affrontare. L’amore, spesso, suppone una certa parità, ma qui non c’è parità. Il Samaritano che si ferma lo fa solo perché vede in quella persona abbandonata un uomo come lui, una sofferenza da aiutare, una persona da riportare alla vita. Si ferma, interrompe il viaggio, impegna il suo tempo per uno sconosciuto, lo cura, paga di persona. La stessa cosa avviene in Cristo che si china sull’uomo ferito dal peccato, sull’uomo che gli è diventato nemico e ha perso quella bellezza che gli aveva donato facendolo a sua immagine. Non c’è in lui (il peccatore) alcuna cosa che potrebbe attirare l’attenzione e tanto meno l’amore. Eppure Gesù decide di dare la propria vita per quest’uomo infedele, per questa persona che lo rifiuta. È questo l’amore misericordioso, è un amore creatore, perché prende in carico la persona e s’impegna a riportarla alla bellezza che ha perduto. È l’amore che continua ad amare, anche se nell’altro non c’è più amabilità. È l’amore che Gesù ha lasciato in consegna ai suoi fedeli: “Come io ho amato voi… e ho dato la vita per voi”. È l’amore rivoluzionario che immette nell’umanità invecchiata e piena di rughe quell’amare che ricostruisce la sua giovinezza e la sua bellezza. Gesù, come buon pastore, viene a salvare quelle pecore ferite alle quali i leviti (i religiosi del tempo) non sono riusciti a sanare le ferite (i peccati dell’umanità).
La parabola, quindi, riflette la storia della salvezza dove Gesù è rappresentato dal Samaritano; un uomo a quel tempo disprezzato da tutti, ma che porta la salvezza là dove gli altri hanno fallito. Egli raccoglie l’umanità ferita e la porta nella sua Chiesa (la taverna) che tutti accoglie. Il segreto di tutto questo è racchiuso nel grande comandamento della carità o, meglio, dell’amore, che per chi non crede può sembrare molto esigente. Non basta, infatti, amare il prossimo come se stessi, ma chiedersi come essere veramente prossimo per gli altri e amarlo come Dio l’ama. Il vero cristiano non può avere dubbi: l’amore è scegliere l’uomo e la sua dignità prima d’ogni cosa, prima del denaro, prima della carriera, prima del potere ecc. Se Dio è amore, se Cristo è la rivelazione di Dio perché si è donato fino alla morte, il vero cristiano rivela al mondo Dio con il suo amare concretamente il prossimo. Ma come tutto questo è possibile nella realtà di questa società così egoista, com’è possibile “farsi prossimo” degli altri manifestando fraternità? Il buon Samaritano dona tutto ciò che è necessario per essere veramente di aiuto, dona il suo tempo prezioso e il suo interessamento personale e non solo a parole, ma con i fatti. Così deve un vero discepolo di Gesù la cui carità (amore) deve realizzarsi nei concreti atteggiamenti di ogni giorno.

La compassione non è un istinto ma una conquista. La si conquista imparando il cuore di Dio, dalla Parola di Dio.
Poi il racconto di Luca si muove, mette in fila dieci verbi concreti che descrivono l’amore, e i dieci verbi sono:  vide, ebbe compassione, si avvicinò, versò, fasciò, caricò, portò, si prese cura, tirò fuori due denari” fino al decimo verbo “Al mio ritorno salderò il debito”. Questo è il nuovo decalogo!
I nuovi dieci Comandamenti, offerti ad ogni uomo, credente o no, la nuova Legge perché la Terra sia abitata da prossimi e non da nemici.

La compassione è un sentimento  per il quale un individuo percepisce emozionalmente la sofferenza altrui provandone pena e desiderando alleviarla.

Il concetto di compassione richiama quello di empatia  (empateia, composta da en-, "dentro", e pathos, "affezione o sentimento"), è il rapporto emozionale di partecipazione soggettiva che lega chi ama all’amata, sente “dentro” con tanta “affezione” da desiderare di percepire il sentimento dell’altro, il suo stato d’animo e volerlo condividere.

La compassione che è il meno sentimentale dei sentimenti, il meno zuccheroso, il meno emotivo, che significa: patire insieme, soffrire vicino, insieme amare.
La compassione non è un istinto ma una conquista: “Tu amerai”.
Tu amerai: un verbo al futuro perché amare è azione mai conclusa, che durerà quanto durerà il tempo, perché è un progetto, l’unico, e mai del tutto realizzato. Un verbo al futuro non all’imperativo, perché amare non è un obbligo, ma una necessità per vivere, amare è come respirare.
Cosa devo fare domani per essere vivo? Tu amerai.
Cosa farò l’anno che verrà e poi dopo, lungo il mio futuro? Tu amerai.
E il nostro destino, la nostra storia? Solo questo: Tu amerai.


I DIECI COMANDAMENTI DELL’AMORE:

Parabola del samaritano Lc 10, 29-37: “Và e anche tu fà lo stesso”

1)  - LO VIDE;                                  2) - N’EBBE COMPASSIONE;  
3)  - GLI SI FECE VICINO;              4) - GLI FASCIO’ LE FERITE;  
5)  - VERSO’ OLIO E VINO            6) - LO CARICO’;
7)  - LO PORTO’;                            8) - SI PRESE CURA;
9)  - DIEDE DUE DENARI;           10) - TORNO’ A DARE LA DIFFERENZA.


Con questi comandamenti Gesù ci dice di prenderci cura di ogni nostro fratello e continua ricordandoci che se il samaritano non concluse la sua opera alla locanda, ma si prese cura anche del dopo, così noi seguaci di Gesù e per i suoi meriti fratelli con Lui e fratelli di coloro che per Lui tali sono diventati, dobbiamo sentirli fratelli per sempre, come Lui sente per sempre noi e loro, Amen.



Il Battesimo di acqua e di Spirito Santo

Il Battesimo di acqua e di Spirito Santo

Il  Battesimo - in greco – inizialmente significò: tuffare nell’acqua, sommergere.
In seguito: Immersione nell’acqua con valore religioso-rituale, quello che impartiva Giovanni Battista, quello che ricevette Gesù nel Giordano, lo stesso che ricevettero gli Israeliti che, dopo aver ricevuto il messaggio dal Battista, accettarono e manifestarono la volontà di una conversione.    
Il Battesimo oggi è un Sacramento: Il segno di una nuova realtà; ha inizio con la venuta del Messia, nascosta alla ragione dell’uomo, ma che ci dà la Figliolanza a Dio e a Lui la Paternità per noi.  Cristo  è  l’immagine del Dio  invisibile.(Col 1,15)
Il Verbo, la parola di Dio si è incarnata ed ha parlato per rendere visibile Dio e per fare sperimentare all’uomo il Suo Amore, l’Amore che salva. Il verbo: Gesù, morto e risorto, ha lasciato alla Chiesa, popolo di cristiani in cammino, guidata dal Suo Spirito, la stessa sua missione. Il Battesimo è il Sacramento che avvia l’uomo all’iniziazione cristiana. San Paolo lo definisce: “Lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, effuso abbondantemente da Dio su di noi, per mezzo di Gesù, Salvatore nostro”. (Tt 3,5-7)
Tra i testi biblici che trattano questi argomenti i più significativi sono:
-         Dialogo con Nicodemo:                        Gv  3, 3 - 8  ;
-         Dialogo con la Samaritana:                  Gv  4,10-14 ;
-         Promessa dello Spirito Santo:               Gv  7,37-39 ;
-         Come tralci innestati alla Vita Divina: Gv 15, 4 -5  .
Da questi brani conseguono tre affermazioni fondamentali che spiegano in che  cosa consiste la Nuova Creatura nata da acqua e da Spirito Santo:
Nel Battesimo c’è una presenza personale ed efficace: di Cristo, della Santissima Trinità e preminente dello Spirito Santo.
Presenza personale ed efficace di Cristo.
S. Paolo ripete 160 volte: “Cristo in noi”, ”Cristo in voi”, cioè nei battezzati.
Questa presenza si attua per gradi:
a)     Prima cancella e lava la macchia d’origine ereditata dai nostri progenitori; in un certo senso muore l' uomo vecchio prima che nasca l’uomo nuovo. (Col. 1,12)
Come l’immersione di Cristo nel Giordano fu simbolo della sua morte e profezia             della sua Resurrezione (emerge infatti dall’acqua come emergerà dal Sepolcro), così il nostro battesimo è simbolo della morte dell’uomo vecchio - carnale- e profezia dell’uomo nuovo – spirituale. (Rm. 6,10)  Col Battesimo: il passato muore nell’acqua, dall’acqua esce risorta una nuova creatura. (1Pt. 3,21)
b)    Dopo lavati, veniamo “Rivestiti” di Cristo. (Gal. 3,27) Il termine greco è più efficace: “Siamo fasciati” di Cristo: Fasciati strettamente e ovunque, come si usava per i neonati.
c)     La nuova creatura diviene simile a Cristo (Rm. 8,29) perché viene partecipata di tre qualità di Cristo:
-         Potere regale: Se moriamo con Lui, vivremo anche con Lui; se con Lui perseveriamo, con Lui regneremo (2Tm. 2,11-12) perciò Paolo ripete spesso: Siamo eredi e coeredi con Cristo nel Regno del Padre. (Rm. 8,16).
-         Potere profetico: Cristo è il vero profeta; non solo parla nel nome di Dio, ma è la Parola stessa di Dio, fatta carne. I Cristiani sono profeti perché, stretti a Cristo, proclamano la Parola per contribuire alla costruzione di un edificio spirituale. (1 Pt. 2,4-5 );                       
-         Potere sacerdotale: Oltre il sacerdozio ministeriale, riservato agli ordinati, esiste quello “battesimale”, comune a tutti i cristiani in virtù del battesimo: ”Sacerdozio Santo, per offrire sacrifici spirituali per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pt 1,5); stirpe eletta, sacerdozio regale…popolo di Dio”(1 Pt. 2,9-10). 
d)    La nuova Creatura partecipa della figliolanza divina di Cristo. S. Paolo per                            distinguere la figliolanza partecipata, da quella di Cristo diretta, prese a prestito un termine romano dell’istituto dell’adozione: “ Perché ricevessimo l’adozione a figli”  (Gal. 4,5), “Figli adottivi” (Ef. 1,5). La nostra figliolanza però non è un titolo giuridico, ma una realtà nuova che ci rende figli del Padre mediante la partecipazione, misteriosa ma vera e reale, alla figliolanza dell’unico figlio di Dio.
e)     L’Apostolo Giovanni è più esplicito: “A quanti l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12); “ Non da volere di carne, ne da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”(Gv 1,13). Ancora più esplicito e più forte è S.Pietro che afferma: ”Diventaste partecipi della natura Divina”, perciò Cristo non è più soltanto l’Unigenito, ma il Primogenito di molti fratelli.(Rm. 8,29)
Presenza della Santissima Trinità.
Nel battesimo avviene una comunione d’amore che lega ogni battezzato al Padre che la realizza nel Figlio ad opera dello Spirito Santo. Perciò i battezzati siamo i: “ Diletti di Dio” (Rm.1,7); il Padre inviando Gesù fra gli uomini e donando lo Spirito Santo rende noi battezzati suoi figli ed inizia in noi la Vita Divina per la presenza dell’intera SS. Trinità.
In estasi Gemma Galgani vide gli Angeli che passando dinanzi a lei s’inginocchiavano esclamando: “Santo, Santo, Santo”, cessò quando il suo Angelo Custode le spiegò che adoravano la Trinità, presente in lei  per la Grazia Santificante.  Infatti la grazia Santificante è:
essere uniti al Padre, vivere il Padre, vivere nel Padre;
essere uniti al Figlio, vivere il Figlio, vivere nel Figlio;
essere uniti allo Spirito S., vivere lo Spirito S., vivere nello Spirito S.
Il cristiano in grazia è il Santuario più prezioso e più sacro, non di pietre morte, ma della presenza reale di persone vive e vere: la Trinità che abita nel battezzato: “Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io l’amerò.…Se uno mi ama… Il Padre mio l’amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”(Gv.14,21 e 23);
“Non sapete che siete Tempio di Dio e che lo Spirito Santo abita in voi”(1Cor. 3,16)
“Noi siamo infatti il Tempio del Dio vivente” ( 2 Cor. 6,16).

Presenza particolare dello Spirito Santo.

Al Padre è attribuita la creazione, al Figlio la nostra redenzione, allo Spirito Santo la nostra santificazione. Infatti con quest’ultima azione, realtà  pneumatologica, partecipiamo alla Vita Divina che è creata in noi dello Spirito Santo, o Grazia Increata. Per rendere possibile in noi questa comunione di vita, questa partecipazione estesa ad ogni battezzato, il  Padre ha mandato il Figlio per portarci: la buona novella di salvezza, la parola del Padre impregnata d’amore misericordioso, la loro decisa volontà di elevarci a figli amati dal Padre e fratelli d’unigenito suo Figlio,  fratelli del primogenito del Padre; così tutti i battezzati diveniamo : secondogeniti di Gesù Cristo.  Perciò il Padre ed il Figlio mandano lo Spirito, Pneuma d’amore intenso. Colui che lega indissolubilmente Padre e Figlio: lo Spirito Santo viene in noi nel momento del battesimo, per realizzare la nostra fratellanza a Gesù e figliolanza a Dio. S. Paolo quasi grida: “.. battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo.” (Gal 3,27)

Nel battesimo, pertanto, avviene il culmine della nostra partecipazione alla Vita Divina: l’Incorporazione al Corpo Mistico di Gesù Cristo ad opera dello Spirito Santo.

Tra i Santi Padri della Chiesa, S. Leone Magno ci dice: “Ricordati che…sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Ricordati chi è  il tuo Capo  e di quale Corpo sei membro. (1Cor.12,27) Con il Sacramento del battesimo sei diventato Tempio dello Spirito Santo  (1Cor.3,16). Non mettere in fuga un Ospite così illustre!”

S. Agostino ci ricorda che oltre al Cristo storico (è nato, è vissuto, ha operato, è morto e risorto, è salito in cielo per ricongiungersi al Padre in attesa di tutti i battezzati) c’è il Cristo Mistico, cioè in divenire, infatti diviene ogni giorno con l’acquisizione di innumerevoli membra: i battezzati che vanno a completare il corpo di Cristo. Il Cristo storico unito a tutte le membra (i battezzati) costituiamo il corpo mistico che è la Chiesa (1Cor.12,12-27).

Ogni battezzato è tralcio che lo Spirito innesta col battesimo al ceppo della  Vita Divina;  mediante questo innesto il battezzato può succhiare  linfa generata dalla Grazia Increata: lo Spirito Santo.
Il battezzato, con questa azione dello Spirito, entra nel circolo della Vita Trinitaria.  “Dio mandò lo Spirito del Figlio suo  nei nostri cuori, che grida: Abba, Papà (Gal. 4,6);
“Lo Spirito Santo attesta al nostro Spirito che siamo figli di Dio” (Rm. 8,16);
“Siate ricolmi dello Spirito Santo!” (Ef. 5,18);
“Voi siete il Corpo di Cristo e le sue membra, ognuno secondo la propria parte” (1Cor. 12,27);
“Non  vogliate  rattristare lo  Spirito  Santo  di  Dio, col  quale  foste  segnati”   (Ef. 4,30).
Il Rinnovamento nello Spirito vuole aiutare il cristiano a riscoprire e prendere coscienza del proprio Battesimo, ricevuto in età infantile. Con la preparazione alla preghiera di effusione, nella quale si prega il Signore affinché da noi faccia effondere lo Spirito di Dio che già ci è stato infuso nel Sacramento del Battesimo, il Rinnovamento aiutando il battezzato a riscoprire, accettare e vivere, oggi finalmente, in età adulta, il proprio Battesimo, aiuta anche la chiesa, perché essa ha necessità, non  di semplici aderenti, ma  di convinti credenti, docili strumenti dello Spirito per la  santificazione propria e della chiesa tutta.
“Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è Colui che ti dice: -Dammi da bere!-…. chi beve dall’acqua che Io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che Io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”(Gv 4,7-15